Regia di Frank Darabont vedi scheda film
Apologo sulla giustizia (e sull'ingiustizia), sull'amicizia come valore in grado di riabilitare una vita piegata dalle bizzarrie di un ineffabile - a talvolta malvagio - destino, e anche sulla consapevolezza che l'unica maniera per vivere realizzandosi è quella di volerlo, ogni giorno, con tutte le proprie forze; Le ali della libertà rappresenta l'esordio in lungometraggio sul grande schermo per Darabont, che ha finora lavorato e in futuro lavorerà più spesso per la televisione. Il regista è qui anche sceneggiatore, partendo da un racconto di Stephen King; curiosamente anche il suo prossimo lavoro (Il miglio verde, 1999) sarà un dramma carcerario tratto dal medesimo autore. Il film si nutre essenzialmente della presenza in scena di due protagonisti eccellenti come Tim Robbins e Morgan Freeman, con ruoli laterali per William Sadler, Bob Gunton e James Whitmore; nominato a ben sette Oscar, quasi tutti tecnici (eccettuato Freeman), non ne vincerà nessuno. Sì, è un prodottone hollywoodiano dalla rifinitura patinata, ma non lo fa pesare più di tanto: nel senso che manca quasi del tutto la retorica buonista - nonostante un ineccepibile lieto fine - che contrassegna questo tipo di lavori, così come va apprezzato il fatto che Darabont non calchi la mano eccessivamente sul pathos, sulla commozione, come dimostra l'ultima inquadratura della pellicola, che ci allontana dai protagonisti anzichè puntare sul facile effetto derivante da un piano più stretto. 6/10.
Il bancario Andy, condannato ingiustamente per omicidio, stringe amicizia in carcere con il potente detenuto Red e con il direttore, che lo affida alla contabilità. I segreti finanziari che Andy scopre sono troppo grossi per lasciare l'uomo libero, anche quando si presenterà l'opportunità - grazie a un testimone - di scagionarlo dall'omicidio per cui si trova in galera. Ad Andy non rimane che una via.
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