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Wilson

Regia di Craig Johnson vedi scheda film

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La recensione su Wilson

di fixer
6 stelle

Il mio commento è la mia recensione. Nulla più.

Chi diavolo è Wilson? Un mezzo pazzo lunatico, instabile, verboso e rompiscatole o forse un mezzo saggio, buono, sempre ottimista e generoso alla ricerca della felicità?

Non si conosce bene il suo lavoro, probabilmente è un disoccupato, di cultura medio-alta, forse è un ex-insegnante, forse un giornalista, ma molto più probabilmente uno scrittore. Forse vive di rendita, non ha quasi amici, vive solo, in un appartamento con una cagnolina, sua moglie l’ha lasciato diversi anni prima e non sa di essere padre, visto che la sua ex, dopo averlo abbandonato, ha partorito una bimba, l’ha data in adozione e ha cominciato un’altra vita.

La sua esistenza la sta trascinando alla bell’e meglio, non sembra nutrire sogni di gloria né possedere ambizioni. Di una cosa è sicuro: che la vita non è che una favola, la nostra civiltà è una triste e inutile farsa costruita sulle menzogne. Dice di essere alla ricerca della felicità, ma sa anche che essa non si trova in quegli infernali congegni elettronici (smartphone, pc, facebook, google, ecc. “State lì a digitare mentre la vostra cazzo di vita vi passa accanto, idioti”) che stanno letteralmente sconvolgendo le nostre abitudini.

Il primo elemento di analisi è quindi il rifiuto che Wilson ha del mondo che lo circonda. Vive solo perché non sopporta quasi nulla di ciò che lo circonda. Non ha amici perché non condivide per nulla le loro ambizioni borghesi, i loro piccoli sogni di un lavoro prestigioso, tenore di vita alto, figli al college ecc. Anche la donna con cui ha convissuto, pur di idee simili alle sue, si è stufata e lo ha mandato al diavolo

Al tempo stesso, soffre la solitudine, è fondamentalmente un hippie che però, pur nella sua visione pessimista del mondo, possiede un’indole buona, socievole, ama la vita, le piccole cose che essa può elargire, come le passeggiate, l’amore di una donna, la compagnia di un cagnolino, il conforto di un amico. E’ un idealista che non sa affrontare il mondo in cui vive. Non è “cresciuto”, come spesso si dice di qualcuno che non accetta la realtà in cui vive, come se la crescita fosse l’omologazione socio-culturale, vivere e pensare come “fanno gli altri”.

 

Infine, è un perdigiorno che non fa nulla dalla mattina alla sera, immerso e forse perduto in elucubrazioni socio-filosofiche un tantino sterili, che passa il tempo sdraiato nel suo appartamento invaso dai libri e dalla polvere, senza tv, laptop, smartphone, tablet, oppure a spasso con il suo cane o a cena presso un amico che presto lo abbandonerà per trasferirsi altrove, cosa che per lui è vero e proprio egoismo. Non si cura di disturbare estranei per attaccar bottone, vive e vorrebbe che tutti vivessero come vive lui, convinto che il suo modo di vivere sia quello meno schifoso ed è insopportabilmente verboso, appiccicaticcio e rompiscatole.

Se da un lato insomma ha bisogno degli altri, dall’altro fa di tutto per allontanarli. Poco a poco si è situato su una lunghezza d’onda che non potrà mai coincidere con quella dei suoi simili.

La storia inizia con la pessima notizia che il suo amico (e sua moglie che odia Wilson) sta per trasferirsi altrove, che suo padre sta per morire, devastato da un cancro in fase terminale. Rimasto solo e consegnato temporaneamente il cagnolino ad una amica, non riuscendo a stabilire un contatto con le persone che incontra (la donna del supermercato, la cicciona che gli spiattella tutta la sua vita davanti a un gelato), decide di andare alla ricerca della sua ex-moglie. La ritrova e pensa davvero di riannodare con lei il filo che si era spezzato anni prima, senza rendersi conto che nulla ormai li può unire, tanto sono irrimediabilmente diversi e ormai lontani anni luce uno dall’altra.

Venuto a sapere da lei di essere padre di una figlia data in adozione a una coppia facoltosa, il suo equilibrio mentale subisce una scossa che lo rende ancora più instabile e imprevedibile. Vuole assolutamente conoscerla, conoscere i suoi genitori adottivi, vivere con lei, senza comprendere che il suo atteggiamento è solo un morboso e infantile tentativo di stabilire un impossibile contatto con una persona che non ha mai conosciuto, che vive una vita sua, che ha amici ed interessi agli antipodi dai suoi. Questo suo atteggiamento lo porta, com’è prevedibile, a un duro impatto con la realtà e alla scoperta amara del carcere. In prigione, vive con la speranza di rivedere, scontata la pena per un tentativo di rapimento che mai ha avuto luogo, la sua ex-moglie e la figlia: ennesima delusione, visto che la sua ex, che non si è degnata nemmeno di testimoniare in suo favore al processo, ha intenzione di andare a vivere con un amico e che la figlia gli confessa di aspettare un bimbo e di volere andare a vivere lontano.

Infine, viene informato che la sua cagnolina è morta. Dopo un momento di disperazione, si reca accanto alla sua amica che gli aveva tenuto il cane, nel luogo dove è sepolto e pronuncia una commovente e stupenda orazione funebre. Il film termina con loro due che, attraverso Skype, comunicano con Claire, la figlia, che mostra loro il bimbo nato da poco. Wilson appare emozionato e il suo sorriso sembra cancellare il dolore di una vita alla ricerca di una felicità mai raggiunta e irraggiungibile.

Il film, diretto dal giovane regista Craig Johnson, si basa su una sceneggiatura di Daniel Clowes tratta dalla sua omonima graphic novel. Trasferitosi a New York, dal nativo stato di Washington, dove si era laureato in teatro presso la locale università, si iscrive alla Tisch School of the Arts e scrive e dirige tre film di cui WILSON è del 2017, oltre a dirigere un episodio della serie TV “LOOKING”.

Tutto sommato, il film è godibile e, per certi aspetti, originale. Purtroppo, credo che la stranezza della trama, la lentezza e il ritmo praticamente assente oltre a una certa debolezza nella costruzione dei personaggi non abbiano giovato alla popolarità del film. Nemmeno la critica sembra avere apprezzato più di tanto. Resta comunque la straordinaria interpretazione del sempre magnifico Woody Harrelson, stralunato e accattivante come non mai.

Che il pubblico non abbia apprezzato più di tanto, lo ritengo plausibile, visto che la filosofia del film è quella di mettersi di traverso rispetto alla tendenza generale. C’è un rifiuto praticamente totale di tutto ciò che sa di moda, omologazione, di “feeling” dell’americano medio (quello che film come UN UOMO A NUDO, SALVATE LA TIGRE, AMERICAN BEAUTY hanno disperatamente cercato di comunicare a livelli decisamente più alti). Dietro le stranezze di un uomo scomodo che nessuno vuole vicino, si indovina l’urlo sgangherato ma sincero di chi non ne può più di questa cosiddetta civiltà, costruita sulla menzogna, sul nulla. Dispiace anche che la critica si sia lasciata trasportare forse eccessivamente dal giudizio di valore sul livello del film e non abbia colto del tutto la contrapposizione, la contraddizione che attanaglia il protagonista e che è motore di tutto l’assunto.

Consigliato.

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