Regia di William Oldroyd vedi scheda film
Non so se questo regista lo rivedremo al cinema, di certo ho voglia di ritrovare sullo schermo quell’attrice tosta che si chiama Florence Pugh, rivelatasi una ragazza che merita. Lei è una Lady Macbeth perfetta, un nome che nella letteratura è garanzia di dramma, da William Shakespeare in poi.
Lei, il marito, l’altro.
Lei, Katherine, infelice e timida, ma questa è solo la prima impressione, che spesso si sbaglia. Imparerà prestissimo il modo di stare al mondo dal marito che però non la degna neanche della minima tenerezza perfino la prima notte di nozze.
Alexander Lester, il marito, è una nullità sia sotto il punto di vista padronale che virile, almeno così ce lo presenta il regista nelle prime sequenze. Non è capace di toccare la donna anche se sin dal primo momento la fa rimanere nuda mentre lui o si addormenta mezzo ubriaco o si masturba osservandola di spalle. “Faccia al muro! E non sorridere!” così a Katherine e così ripeterà lei in altra occasione all’intruso entrato di prepotenza nella sua camera. Eh sì, ha imparato in pochi giorni la prepotenza sessista dei maschi e lei dotata di carattere è capacissima di ribaltare i ruoli.
L’altro è lo stalliere Sebastian, un bel ragazzone che riesce sin dal primo incontro a stimolare sia i sentimenti della nuova padrona di casa sia (eccome!) i suoi istinti sessuali, fino a farli diventare inarrestabili. Un gioco inconsapevole che porterà Katherine a un giro sempre più vorticoso che in seguito diventerà vieppiù perverso.
È uno schema di racconto che abbiamo visto o letto migliaia di volte: l’adulterio domestico che degenera nel disegno omicida che però – ahi loro - non premia mai – e meno male -. Ora l’errore, ora il pentimento, ora il rimorso, insomma c’è sempre la reazione naturale e intima di cui si ignora l’esistenza in se stessi fino ad un momento prima che risvegli la coscienza. Almeno di uno dei due soggetti che hanno cominciato a scendere quella scala a chiocciola che porta agli inferi mentali e della società punitiva, come succede qui.
La vicenda, tratta ma modificata soprattutto nel finale tragico dalla novella di Nikolaj Semënovi? Leskov, scrittore russo dell’Ottocento, ‘Lady Macbeth del distretto di Mcensk’, è una storia che ben conosciamo e che si ripete all’infinito nella letteratura e (anche di conseguenza) nel cinema. Ma se il film finisce in maniera sospensiva con l’inquadratura più ripetuta dal regista e anche quella più significativa, cioè la Katherine di blu vestita seduta placidamente sul sofà al centro della stanza e dell’obiettivo, la novella originaria ha uno strascico drammatico come solo gli scrittori russi sono stati capaci di trasmetterci medianti i loro magnifici scritti dell’altro secolo. Ciò che colpisce davvero in questo film è ben altro.
Prima di tutto il film è fortemente caratterizzato e ricalcato come un’impronta dello stivale di un soldato grosso e pesante dalla presenza/sorpresa di una ragazza che lascia davvero il segno: Florence Pugh. Questa ragazza, ben fatta, anzi abbastanza rotondetta, sin dal robusto viso ovale che racchiude due occhi chiari e vispi che ben esprimono un cuore e un’anima ribollente, dotata e caratterizzata da una voce roca e calda che strega, questa ragazza si rivela un portento di attrice. Entra di prepotenza nel ruolo affidatole e lo porta fino in fondo con forza e incisività fino a lasciar(mi) senza fiato. Complimenti, Florence! Esprime con grande efficacia la risolutezza e il carattere di cui ha bisogno per sopravvivere sin dai primi giorni di un matrimonio combinato e malriuscito ma da cui impara alla svelta e nella propria psiche a causa dai maltrattamenti del marito fintamente forte che invece (come si scoprirà) ha un’altra famiglia. È un film che sicuramente sorprende e positivamente, perché pur se nell’ambito di un plot ben conosciuto e sfruttato per secoli è condotto in modo originale da un regista esordiente che sa bene quello che deve fare e che non usa (finalmente) la solita macchina da presa a mano che tante volte sta lì a dimostrare come l’autore sa stare addosso ai protagonisti. Invece William Oldroyd usa con giudizio l’obiettivo ponendolo sempre con cura dritto verso il cuore dell’azione e alternando le inquadrature fisse senza frenesia, facendo risaltare la sua predisposizione alla regia teatrale, campo in cui svolge maggiormente il suo lavoro. Una regia calma e precisa che con grande sapienza non fa perdere un secondo degli avvenimenti, tenendoci ancorati al crescendo intrinseco del racconto.
Non so se questo regista lo rivedremo al cinema, di certo ho voglia di ritrovare sullo schermo quell’attrice tosta che si chiama Florence Pugh, rivelatasi una ragazza che merita. Lei è una Lady Macbeth perfetta, un nome che nella letteratura è garanzia di dramma, da William Shakespeare in poi.
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