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El vendedor de orquídeas

Regia di Lorenzo Vigas vedi scheda film

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La recensione su El vendedor de orquídeas

di OGM
6 stelle

Un'opera d'arte perduta per sempre. Come il tempo che non torna più.

Un pittore cerca il suo dipinto. Il suo viaggio insegue il ricordo. Il dramma di Oswaldo Vigas è l’impossibilità di fermare il tempo sulla tela. O di correggere i rimpianti con un tratto di colore. L’arte non dice tutto quel che si vorrebbe. Coglie l’attimo, e lo consegna  a volte alla memoria, altre volte all’oblio, rendendolo comunque immutabile. Lo fa diventare l’icona della giovinezza, di cui immortala gli errori, pronti ad entrare nella malinconica collezione della vecchiaia. Ma più tristi ancora sono i pezzi mancanti. Quel quadro di cui si sono perse le tracce è il metaforico segnaposto di tutte le assenze di cui si soffre troppo tardivamente, quando ormai non c’è più rimedio. Si ritorna da una fuga e non si trova più lo sventurato fratello che non si era voluto portare con sé. E allora si comincia a parlare, spennellando il passato con la tinta trasparente delle parole, che fa sembrare tutto più chiaro, non più mediato dalla benevola trasfigurazione delle sfumature cromatiche. L’artista non si descrive  attraverso le sue opere. Non si nasconde più dietro di esse. Abbandona il suo amatissimo gregge, per rintracciare l’unica pecora smarrita, il cui ritrovamento potrebbe coincidere con il simbolico annuncio di una speranza. La sua testimonianza ci giunge inquieta e spoglia, come chi si prepari ad una caccia difficile, ad una battaglia che lo voglia leggero ma agguerrito, pronto al confronto con un nemico che ritorna sul campo, forte come un tempo, per nulla segnato dagli anni, sfrontatamente predisposto a chiedere una puntigliosa resa dei conti. Questo film ha il tono sobrio e duro della verità che non si elude, che si presenta in primo piano, come una dolorosa faccenda dell’oggi, inconclusa e accentratrice di ogni umano pensiero. La sua storia risulta drammaticamente appesa alle frasi che percorrono palmo a palmo un racconto refrattario alle immagini, desideroso di essere preso per quello che è: scarno e disadorno, come un affanno che si sia consumato nell’abbandono, riducendosi ad un semplice, flebile filo di voce. La macchina da presa lo inquadra con discrezione, senza ambizioni estetiche, fedele al registro della confessione intima, domestica, che non ha bisogno di filtri, dal momento che si esprime all’interno della cerchia familiare, senza falsi pudori, lasciandosi contaminare dalle personali manie, dai rancori incrostati nel cuore, dai dispiaceri che riempiono la bocca di amaro.  Il padre è ritratto dal figlio, con quell’affettuoso distacco che odora di riverenza e che per noi spettatori è un dono di serena obiettività. Il passo appare lento perché scrupoloso, determinato a rimanere attaccato al punto, fino ad abbracciare la ripetitività come un refrain che batte il ritmo sulle cose davvero importanti: quelle che non cambiano, e che risuonano, nella vita scemante, con il meccanico ticchettio del così è stato.  

 

Oswaldo Vigas

El vendedor de orquídeas (2016): Oswaldo Vigas

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