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One Sister

Regia di Sofía Brockenshire, Verena Kuri vedi scheda film

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La recensione su One Sister

di OGM
5 stelle

Una ragazza di nome Guadalupe. Una sorella che la cerca. Una storia che non si riesce a raccontare.

La storia non c’è. Forse è proprio quello che avviene, quando qualcuno scompare. Il racconto si sospende, la vita inizia a girare a vuoto. L’assenza buca la tela del dipinto, e il suo tessuto perde di coerenza. Le sue parti si allontanano, le fibre si sfilacciano, le parole corrono lungo corde tagliate, affacciate su un precipizio buio. Questo film non smette di ribadire il concetto. Lo fa senza accanimento, con l’indolente insistenza di chi non sa dove sbattere la testa, e lascia che la sua rabbia cada dove vuole, che la follia si impadronisca a casaccio di ciò che rimane delle abitudini di prima,  improvvisamente private di un irrinunciabile punto fermo. Al suo posto, talvolta, può comparire un fantasma. Una preda impossibile, che continua a sfuggire al suo cacciatore. Una lepre che si nasconde nell’erba, e che ha le sembianze di un angelo. La figura di Lupe talvolta si intravvede, in mezzo al verde, vestita di rosso, i capelli scuri sciolti nel vento. Una ragazza che gioca a rimpiattino. Fuori da quell’immagine di innocente libertà, il mondo è duramente chiuso nella sua incapacità di credere nei miracoli, nel rifiuto di aiutarli ad accadere. E così lo spazio entro cui cercare e provare a sperare si fa sempre più piccolo, con i suoi luoghi deserti e gli angusti corridoi degli uffici, tra le sedie affollate e le porte chiuse. In un attimo, chi parla non sa più cosa dire. Deve per forza ripetersi, con la svogliatezza di chi sa di diventare noioso. La frustrazione non ammette tensione. È la stazione finale da cui si vorrebbe poter ripartire, e che invece ti sequestra sul suo binario morto.  Non serve aspettare. Ma si può provare a immaginare. A vedere l’inesistente. A scoprirsi amici di uno sconosciuto. A sentirsi assegnati a un destino dotato di definizione, che offra un’alternativa al non sapere più chi siamo né cosa facciamo.  Il percorso di Alba è un’odissea senza sbocco, il cui aspetto più periglioso è proprio l’impossibilità di evadere dall’abbraccio di un orizzonte che non dà più riparo, che da familiare e rassicurante si è fatto freddo e ostile. In quella prigione non accade granché, a parte non capire, non ricevere risposte, essere continuamente circondati dal silenzio. Troppo poco perché il discorso possa davvero riempire le pagine, e diventare un libro interessante da leggere. Forse è bene restare così, con le frasi incompiute, che non promettono nessuno sviluppo degno di nota. Lasciando che la desolazione di un paesaggio incolto e marginale invada lo schermo, sostituendosi al senso che è venuto meno.   

 

scena

One Sister (2016): scena

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