Regia di Carlo Vanzina vedi scheda film
Intrighi finanziari e privati (tradimenti, ricatti, delitti…) in una scalata senza esclusioni di colpi al più importante (e potente) quotidiano d’opposizione del paese, che i personaggi del film chiamano sempre “il giornale” ma è palesemente “la Repubblica”. Ispirandosi al best seller dei coniugi giornalisti Augias, Corrado e Daniela Pasti, i fratelli Vanzina realizzano uno dei loro film più ambiziosi, sicuramente tra i più atipici del loro percorso cinematografico. E, forse smarriti nelle atmosfere misteriose che s’addicono alla vicenda, confondono le carte in gioco, indecisi se intraprendere la strada più noir o quella alla “Dallas”, tra corna, amanti e figli fragili. Sta qui il limite di “Tre colonne in cronaca”, opera sbagliata ma non disprezzabile: non riesce a condensare in un’abbondante ora e mezza fatti e personaggi che avrebbero avuto bisogno di un affresco ben più ampio e di più alto respiro. Tra l’altro, forse intimiditi dal plot e dagli attori in partita, quello dei Vanzina è un film freddo e a volte patinato, un rotocalco di cronaca nera-rosa pallido (come “ Il Sole 24 ore”, il quotidiano di finanza e economia) non del tutto convincente. La sceneggiatura non offre molti spunti per un completo e accurato disegno dei personaggi e il cast, disomogeneo, propone una vasta rappresentanza di cinema nostrano e non: tra gli stranieri si fanno vedere Joss Ackland e Senta Berger, mentre Demetra “Valentina” Hampton è fuori luogo; tra gli italiani, un curioso Sergio Castellitto assai in parte, un pigro Massimo Dapporto e gli sprecatissimi Carlo Giuffrè e Angelica Ippolito; spicca però su tutti, e verrebbe da dire ovviamente, un Gian Maria Volonté che, in un film corale, è tuttavia protagonista assoluto. Nonostante non registri la sua prova più riuscita, Gian Maria è comunque il migliore della partita, con la sua strepitosa imitazione (non fisicamente, ma mimeticamente) di Eugenio Scalari, potentissimo direttore che nasconde più di un segreto. Sì, è lui che riscatta il film dalla più piatta normalità. Da non perdere la scena finale.
Stavolta le musiche del sor Ennio Morricone sembrano scarti di vecchie partiture, forse quelle di “Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto”. Belle, elettriche, ma già sentite.
Voto: 5.
Si può fare di più.
Colora molto il suo personaggio. Molto curioso e brillante, David di Donatello e Ciak d’Oro nel 1990 come miglior attore non protagonista.
Si può fare di più.
Una prova un po’ pigra, non certamente la sua migliore. Si può fare di più.
Spicca su tutti, e verrebbe da dire ovviamente, in un film corale, dove riesce ad essere tuttavia protagonista assoluto. Nonostante non registri la sua prova più riuscita, è comunque il migliore della partita, con la sua strepitosa imitazione (non fisicamente, ma mimeticamente) di Eugenio Scalari, potentissimo direttore che nasconde più di un segreto. Sì, è lui che riscatta il film dalla più piatta normalità. Da non perdere la scena finale.
Sbagliata e intimorita.
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