Regia di Pasquale Squitieri vedi scheda film
Un buon film di mafia. Non splendido, come invece ne sono stati fatti a riguardo, certo; ma nemmeno così da criticare come è stato fatto, e come sempre capita a Squitieri. Il regista napoletano non è alla sua prova migliore, ma comunque il film ha vari pregi. Sicuramente quello di far vedere il merito dei sindacalisti e dei comunisti nel sud, spesso gli unici a opporsi allo strapotere dell’ingiustizia mafiosa. Placido è splendido in questa parte, specie nel discorso di denuncia contro lo sfruttamento. Altro pregio è la ricostruzione storica della Sicilia postbellica: quella costretta dai suoi capi mafiosi a votare per l’America e la Democrazia cristiana, e a demonizzare il comunismo (e questo clima c‘era in tutto il sud).
Ulteriore merito è la ricostruzione di tante caratteristiche della mafia, qui nel riferimento storico (ovviamente anche romanzato) al primo grandissimo capo di Corleone appunto, Liggio, colui che crebbe sotto di sé i vari Riina, Provenzano, Bagarella… Tra queste caratteristiche qui spiccano il controllo assoluto esercitato dai capi maggiori (bravo in questa veste il vecchio Francisco Rabal, che nel romanzo di Orazio Barrese, preso come soggetto, è probabilmente Navarra); il tradimento, che porta a vivere malissimo, nel terrore dell’incertezza; la mancanza di rispetto dei patti, con le gerarchie che mutano solo per la capacità di incutere più terrore e di promettere più denaro, sempre e solo grazie alla violenza; la farsa di processi aggiustati, anche in modo grottesco (splendidi, nel loro duello in tribunale, Remo Girone e Orazio Orlando); l’interesse esclusivo economico, vorace e violento, dei capimafia; la capacità elettorale, unica, di far vincere i propri candidati, grazie ai propri voti, voti che i mafiosi si prendono con mezzi illeciti, e che offrono non certo gratis, controllando poi interamente, anche ai massimi livelli, l’operato degli eletti (bravo Satta Flores qui), i quali coprono le peggiori malefatte sotto un manto di retorica orribilmente falsa, tipicamente meridionale ma anche, in generale, italiana. Notevole è anche la fedeltà nella resa della vita quotidiana siciliana. Splendido il finale, con la tragedia psicologica del figlio che vede uccidere il padre, di cui non poteva non intuire gli scandali nascosti, causa della loro agiatezza economica.
Morricone firma la colonna sonora, bene fotografia e costumi (specie per l’eleganza dei mafiosi); e qui finiscono i pregi. I limiti stanno: nella recitazione di Giuliano Gemma, incapace di una resa verosimile, ingessato e pessimo nella dizione, sia per il dialetto sia per i tempi della pronuncia; la Cardinale non è autentica come invece è di solito, forse vittima di una regia (qui giustamente si deve criticare Squitieri) la cui messinscena è un po’ convenzionale e commerciale.
Questa patina abbassa il livello del film, ma non tanto da pregiudicarne un discreto, interesse, positivo anche oggi, per quanto limitatamente.
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