Regia di Alessandro Benvenuti vedi scheda film
Massimo Ghini, con gli occhiali di Walter Veltroni, politico di sinistra a Roma, torna alla base. Qui i militanti stanno organizzando la sacra Festa dell’Unità, come la fanno da una vita. Però, c’è un però. Siamo nel 1991, il muro è caduto e il Pci non sta tanto bene. Anzi, per dirla tutta, il Pci è morto ed è diventato il Pds sotto la guida di Achille Occhetto. Non tutti la prendono bene. Per esempio, c’è qualcuno che reputa il nuovo simbolo con la quercia una roba che nemmeno le confetture. Nella fattispecie, è Athina Cenci, figlia di Alida Valli e di un grande dirigente politico che ha lasciato un vuoto immenso, nonché maestro di Ghini. Le due donne vivono segregate in un vecchio casale, lontane da tutto e da tutti; finché il figliol prodigo Ghini torna e qualcosa (non) succede. Sì, perché in passato Athina e Ghini si sono amati, una di quelle storie d’altri tempi in cui dovevi scegliere tra la politica e l’amore. È malinconico il loro incontro, e ben si inserisce in questa elegia del tempo perduto.
Alessandro Benvenuti mette a segno quello che forse è il suo miglior film, perché polifonico, universale, sincero. Parla di un mondo di cui non si vuole ipotecare la scomparsa, perché appassionato nel coltivare le proprie piccole passioni che coincidono con i valori collettivi di una comunità. L’autore si ritaglia la parte di uno svanito, quasi a volersi mettere da parte per far parlare il coro, un po’ come in Benvenuti in casa Gori e come meglio gli riuscirà in Ritorno a casa Gori. Emergono Novello Novelli, Pina Cei, Leonardo Pieraccioni; ma a restare impresse sono Alida e Athina, due attrici mostruosamente divine. Livello nobile della farsa strapaesana, commedia di costume che vola alto perché sa bene di cosa parla, è soprattutto uno sguardo affettuoso sulla sinistra provinciale, mille volte più coinvolta ed autentica di quella nazionale.
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