Regia di Milos Forman vedi scheda film
Si può fare un film su Mozart senza nominare nemmeno una volta Ludwig van Beethoven, Franz Joseph Haydn e Lorenzo Da Ponte? Non solo si può: è stato fatto, madamina, e il film è questo. E ha vinto otto premi Oscar.
Si tratta di un grandioso film su Antonio Salieri, musicista nato nella provincia di Verona e attivo a Vienna tra sette e ottocento, passato alla storia per essere stato uno dei maestri di Beethoven accanto a un altro musicista molto famoso a quei tempi per la sua conoscenza del contrappunto e della sua didattica: Johann Georg Albrechtsberger. Che le opere di entrambi siano sparite da qualunque repertorio può anche non avere senso. Cosa conta la fama quando la prima cosa che ci evoca il nome di Beethoven è un famoso ta-ta-ta tannn?
Mancando qualunque prova, la responsabilità di Salieri nella morte di Mozart rimane una bufala storica. Ma il film la assume come verità vera.
Da Ponte è l’autore del libretto del Don Giovanni, anche se il film sembra non curarsene. Così come della rivalità tra Mozart e Haydn.
I balletti del Ratto del Serraglio sono degni di un programma Rai della domenica pomeriggio, o di un programma Mediaset di un qualunque giorno feriale.
La pellicola, dopo averci deliziato con cipria, marsine, crinoline, parrucche, divanetti, poppe rotanti, saloni rutilanti e averci intrattenuto con una minuziosa ricostruzione della diatriba circa una presunta teutonica “questione della lingua”, fa cantare in inglese l’aria di Papageno "Ein Mädchen oder Weibchen" da un baritono che si chiama Brian Christopher Kay, che ancora vive dopo una carriera da conduttore radiofonico e certamente non è più tedesco di Antonio Salieri. Mi risulta che l’aria originale è stata scritta in tedesco da Emanuel Schikaneder e che capirci qualcosa, per noi comuni mortali, perfino ora che esiste Internet, richiede, con il resto dell’opera, qualche serata di godurioso lavoro di decifrazione.
Ma come potrebbe un autore come Forman resistere alla tentazione di sfrondare la sceneggiatura per sentir dire dai critici: “Ha lavorato in levare. Ha tolto di scena. Ha alleggerito la vicenda. E’ andato al sodo?” Forse in base a un ragionamento come questo anche i riferimenti massonici dell’opera sono stati espunti e mandati nel cestino a tener compagnia a Beethoven, Haydn e Da Ponte.
Quello che ho scritto fino ad ora ha un barlume di fondatezza, mentre ciò che realmente mi rende antipatico questo film sarebbe difficile da argomentare: non sopporto l’esasperazione manierata del contrasto tra la fatuità di Mozart e la sua musica celestiale.
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