Regia di Roman Polanski vedi scheda film
Un gran bel, e corposo, prodotto d’autore questo firmato da Roman Polanski che plasma a sua immagine e somiglianza una storia dominata da un clima di tensione reso con classe e decisione.
Una notte tempestosa, una casa isolata che s’affaccia sul mare, una donna, Paulina Escobar (Sigourney Weaver) è in attesa del rientro del marito Gerardo Escobar (Stuart Wilson), incaricato di indagare sull’efferate violenze della dittatura.
L’uomo arriva in grande ritardo e accompagnato dal dottor Roberto Miranda (Ben Kingsley) che l’ha soccorso quando la macchina di Gerardo si è fermata con una gomma forata.
I due uomini vanno fin subito molto d’accordo, mentre Paulina è sospettosa e rivede nelle fattezze di Roberto l’uomo che quindici anni prima l’aveva torturata più volte accompagnato dalle note de “La morte e la fanciulla” di Schubert.
Paulina decide che è giunto il momento di sistemare il conto.
Roman Polanski realizza un film profondamente integro, mantenendo l’impalcatura teatrale del testo originale, agendo, con varie modalità, sui tre personaggi, assoluti e unici protagonisti, aiutato da tre attori in gran forma.
Molto interessante l’emergere degli effetti devastanti di una violenza che, nonostante i tanti anni trascorsi, è stata relegata in disparte, ma non dimenticata e che riemerge con forza quando il fato fa la sua parte e offre un’occasione di rivalsa.
E la storia diventa uno gioco a tre, tra Pauline che rivede scorrere di fronte a se il suo passato, Roberto, che professa la sua innocenza e Gerardo che si trova nel mezzo di pericolose circostanze
Così il film ondeggia tra note dolorose ed altre di profonda tensione psicologica e Roman Polanski è molto bravo nel riuscire a non essere invasivo, ma allo stesso tempo nemmeno distaccato da una materia di grande importanza etica e morale (in certi casi la vendetta violenta si può tollerare?), riuscendo a incorniciare, in modo esemplare, i cambiamenti di umore e i momenti di svolta.
In più l’ambientazione claustrofobica è rappresentata con un taglio estetico nel quale la cura per gli elementi (pochi, ma efficaci) è massima.
Insomma “La morte e la fanciulla” è un film ambiguo, che gioca una partita pericolosa come la storia che racconta, ma la vince a piena titolo, grazie al contributo di tutti i partecipanti all’operazione.
Incalzante e teso come una corda di violino.
Grande regia, soprattutto perchè riesce ad evidenziare i tratti salienti senza aggiungere nulla di più. Essenziale ed abilissimo, forse semplice (ma non poteva e nemmeno doveva fare altrimenti), ma anche genuinamente sagace.
Ottimo ruolo, altrettanto valido il suo contributo alla causa. Grandiosa, quando si richiede temperamento lei timbra il cartellino da far suo. Insostituibile.
Ruolo malsano, lui è bravo nell'insinuare il dubbio e nell'essere ambiguamente maligno.
Si trova letteralmente in mezzo (per il ruolo, ma anche perchè la Weaver e Kingsley sono due mostri sacri di recitazione), ma ne esce comunque bene. E non è poco.
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