Regia di Roman Polanski vedi scheda film
La morte e la fanciulla è una composizione per quartetto d'archi di Franz Schubert; Polanski la utilizza come filo conduttore per raccontare questa storia di una quiete che occulta, ma non dimentica, le trascorse atrocità, cercando di sopravvivere alle memorie che affiorano da un passato prossimo disumano; e contemporaneamente di una vendetta inattuabile poichè immorale. Immorale è sostituirsi a dio nel giudizio definitivo su un essere umano; immorale è pretendere di colmare un torto, per quanto grave possa essere, creandone un altro; immorale è infine sentirsi appagati dal dolore altrui. Bella sceneggiatura compatta e gravida di significati, sebbene composta di pochi personaggi, luoghi e situazioni, firmata da Rafael Yglesias e Ariel Dorfman; Polanski gioca tutto il racconto sulle psicologie e sulla più classica figura del triangolo, in cui due vertici raffinati (la vittima e il carnefice) vengono contrapposti spesso al terzo 'incomodo', più semplice per mentalità e volontà. L'irrisolto domina quindi il risolto, così come i personaggi della Weaver e di Kingsley prendono la scena molto più e meglio di quanto riesca a fare l'incolpevole (proprio perchè relegato a un ruolo meno significativo) Wilson; fotografia cupa del nostro Tonino Delli Colli , già voluto dal regista per il precedente Luna di fiele, e ormai prossimo al meritato pensionamento dopo una carriera lunga quanto straordinaria; Pierre Guffroy (già con Godard, Truffaut, Bunuel) cura con ottima mano la scenografia, dettaglio di primaria importanza in questa sorta di ansiogeno kammerspiel del tormento interiore. 6/10.
Sudamerica. Una sera l'avvocato Escobar torna a casa, dalla moglie, con il dottor Miranda. La donna riconosce in quest'ultimo l'aguzzino che la violentò e torturò anni prima, durante la dittatura.
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