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La morte e la fanciulla

Regia di Roman Polanski vedi scheda film

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La recensione su La morte e la fanciulla

di Peppe Comune
7 stelle

In un non ben precisato paese del Sud America, durante una notte tempestosa, in una casa isolata circondata dal mare, Paulina Escobar (Sigourney Weaver) è in attesa che ritorni il marito, il giudice Gerardo Escobar (Stuart Wilson). Ha appena sentito alla radio che è stato nominato presidente della commissione che dovrà far luce sui crimini contro l'umanità commessi dal precedente regime militare. Gerardo torna più tardi del previsto e racconta alla moglie di aver forato una gomma e che se non fosse stato per un signore che passava non sarebbe riuscito a tornare a casa quella notte. Questo signore ritorna a casa degli Escobar perchè si è gentilmente preoccupato di recuperargli la ruota da sostituire. Entra per bere qualcosa e si presenta come il dottor Roberto Miranda (Ben Kingsley). I due uomini fanno subito amicizia. Paulina, invece, crede di riconoscere nel dottor Miranda uno dei suoi carcerieri, l'uomo che quindici anni prima l'ha torturata e violentata innumerevoli volte al suono de "La morte e la fanciulla" di Schubert. Così, arbitrariamente, decide che è giusto arrivato il momento di processarlo solennemente.

 

 

Dalla pièce teatrale del cileno Ariel Dorfman, Roman Polanski ricava un film di grande impatto figurativo che, nel mentre mantiene inalterato l'originario impianto teatrale, costruisce un quadro d'insieme di problematica complessità umana e di affascinante resa stilistica. Un film rigorosamente al chiuso, retto da tre straordinarie prove d'attore e da una regia attenta a non invadere eccessivamente il campo, sensibile alle sfumature, tanto brava a saper evocare un crimine che riguarda tutta l'umanità senza farcene vedere i segni indicatori, quanto capace di mostrarne i perduranti effetti devastanti su una donna assetata di verità. Un film che oscilla tra il dramma umano e il thriller psicologico dunque, dove si problematizza sulla necessità impellente di tenere sempre viva la memoria storica e si rappresenta la gravosa metabolizzazione di un dolore immane che rende labile il confine tra giustizia e vendetta. Tutto questo mentre la macchina da presa sfiora soltanto l'oggetto della sua rappresentazione, scrutando il tutto senza essere mai indiscreta, con l'occhio vigile su ogni scarto emozionale, intento a registrare senza giudicare, come chi osserva da lontano lo sviluppo degli eventi e aspetta la fine per vedere l'effetto che fa. Si è indotti a comportarsi nello stesso modo, insinuando lo sguardo nell'evoluzione emotiva dei tre personaggi, per misurarne al millimetro la fragilità, per cercare di scrutare  dai rispettivi occhi accenni di verità. Tre persone che il caso ha voluto rinchiudere insieme all'interno di una casa isolata. Ognuno può essere vittima o carnefice e ognuno è necessariamente solo con se stesso, col proprio ruolo da rispettare e le paure da tenere a freno, con l'obbligo vicendevole di portare fino in fondo il proprio gioco e con l'urgenza di dover giungere a una conclusione senza far torto ne ai sentimenti ne, tantomeno, alla ragione. Pauline è convinta di riconoscere nella voce del distinto signore che ha aiutato il marito quella del suo torturatore. Il suo corpo è marchiato a fuoco dalle violenze subite e l'istinto gli sembra più utile del buon senso per riconoscere la matrice principale di quel dolore che porta ancora dentro. Il dottor Miranda nega decisamente, enuncia prove concrete sulla sua estranietà ai fatti ed esorta a vericarne la veridicità. Gerardo è nel mezzo, tra le impressioni della moglie che rasentano la paranoia ma che esigono una neutralità di attegiamento e le ferite sanguinanti di un intero popolo che impongono chiarezza. Sono l'uno di fronte all'altro davanti alla storia, in cerca di una verità che serva a liberare finalmente tutti.

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