Regia di Alain Resnais vedi scheda film
Come in L'anno scorso a Marienbad, in questo film Alain Resnais dilata l'istante all'infinito, rendendolo insieme irripetibile ed eterno, sospeso tra il tutto delle categorie universali (l'amore, la morte, il dolore, l'odio) e il niente dell'umana caducità (l'oblio, la negazione, la menzogna, l'ignoranza). La verità è come un'unica grande luce che ci avvolge, ed è troppo intensa per consentirci di distinguere i luoghi e i volti; il sole dell'estate parigina è tutt'uno con l'incandescenza della bomba di Hiroshima, i corpi straziati dall'esplosione atomica si fondono con la figura martoriata di una collaborazionista francese. Sovrapporre mentalmente le situazioni, il presente e il passato, il qui e l'altrove, il sé e l'altro, significa, contemporaneamente, far rivivere il ricordo, e cancellarlo sostituendolo col nuovo, che pure è così terribilmente simile da dare il capogiro. La ciclicità del tempo provoca vertigine, la complessiva immobilità della storia ci imprigiona nei nostri errori e rimpianti, impedendoci di alzarci in volo, per guardarli da lontano. Ogni fuga ci porta, inesorabilmente, a riscoprirci sbagliati, anche se in modo diverso, accrescendo così il senso di irrimediabilità della nostra miseria. Ogni prospettiva ci restituisce la stessa visione della nostra vita, ogni persona incontrata ci porge uno specchio che ci rimanda sempre la solita immagine di noi stessi. Così la protagonista di questa storia che, durante l'occupazione, è stata amante di un soldato tedesco, poi ucciso da un cecchino, rimane, dall'altra parte del mondo, ancora una volta vittima di una passione clandestina, collocata al di là della barriera dell'accettabile e del comprensibile, e destinata a dissolversi in un forzato addio. La pace, che lei interpreta come attrice sul set di un film, è solo un'ideale finzione cinematografica, in un universo turbinoso che non smette di contorcersi intorno alle proprie insanabili ferite. Il ritorno è il peggiore dei mali: ritrovarsi al punto di partenza è, in assoluto, la più grave sconfitta, perché è la plateale conferma che il nostro tempo, drammaticamente limitato, ci è scivolato tra le mani, ed è trascorso invano. Hiroshima, mon amour declina i versi sciolti della poesia dell'inafferrabile, che batte insistentemente un ritmo monocorde nella disperata ricerca di una regola, di una logica, di una qualsiasi forma di ragione.
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