Regia di Alain Resnais vedi scheda film
“Tu non hai visto niente a Hiroshima” “Ho visto tutto a Hiroshima”; e avanti così per i primi 10’, lui ad affermare l’unicità irripetibile di quell’orrore (del quale scorrono le immagini sullo schermo) e lei a cercare di convincerlo di non essergli estranea, di non essere come i turisti che visitano il museo, perché anche lei ha sofferto sulla propria pelle (le donne di Hiroshima perdono i capelli a causa delle radiazioni, a lei sono stati tagliati dai concittadini per punizione). Lei è francese, di Nevers, e sembra che provi un’attrazione irresistibile per i nemici o ex tali: un tedesco durante la guerra, un giapponese dopo (due persone che tendono a confondersi in una sola, come il passato e il presente sfumano l’uno nell’altro). Il fatto è che, semplicemente, lei non vede nemici ma solo esseri umani: questa è la parte più duratura del messaggio pacifista del film, al di là dell’intento immediato di protesta contro la corsa agli armamenti nucleari. L’inizio folgorante non deve far dimenticare il lungo flashback centrale, con il racconto della segregazione di lei in casa dei suoi per farla credere morta e della sua fuga a Parigi, dove “il giorno dopo tutti i giornali riportavano il nome di Hiroshima”. I dialoghi di Marguerite Duras sono qua e là un po’ declamatori, ma potentemente evocativi: uno dei casi in cui parole e immagini celebrano un matrimonio perfetto.
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