"Mio padre diceva sempre: le castagne sono buone, come a dire che le cose più semplici sono sempre le più buone."
Un giovane regista televisivo, Luigi Vivarelli (Gianni Morandi), brillante autore di servzi incentrati sulle scelte civiche e comportamentali dei cittadini, e personalmente molto sensibile ai richiami dell'altro sesso, ha l'occasione di imbattersi, durante le riprese di un suo documentario, in una bizzarra e vitale studentessa di architettura di nome Carla Lotito (Stefania Casini, straordinaria), che in qualche modo riesce ad irretirlo non solo grazie al suo gradevole aspetto esteriore, ma anche al modo candido in cui la ragazza porta avanti le proprie idee, attaccata grazie al padre scomparso, a valori semplici e tradizionali della vita, che la spingono ad apprezzare le cose semplici e a praticare il culto cattolico con osservanza.
Nel contempo il giovane ha modo anche di conoscere la sorella di Carla, una balorda attrice di pièces sperimentali, nonché ragazza problematica ed inaffidabile.
Tra momenti di intimità e litigi furiosi, Carla riuscirà a condurre Luigi nel suo paese natio al Sud, ove gli farà conoscere tutta la bizzarra e vitale famiglia della madre, ma ciò non servirà a saldare le basi del loro rapporto, che si solidificherà e definirà solo nel momento in cui il ragazzo riuscirà per caso a trarre in salvo la balorda sorella di Carla, finita a prostituirsi tra un gruppo di biechi pokeristi senza scrupoli.
Girato tra la provincia di Roma e il piccolo paese marinaro di Cetara, Le castagne sono buone tenta la via del melodramma moderno che non si rifugia solamente nei buoni sentimenti, ma ha anche il coraggio di puntare su tematiche ostiche e poco rassicuranti come l'autodistruzione da dipendenze e la disillusione verso ipotetici sogni di perfezione che la dura realtà compromette e rende irraggiungibili.
La vitalità dei personaggi, soprattutto quello della protagonista femminile, non ce la fa tuttavia a togliere di dosso al film un suo smodato didascalismo e certe ingenuità folkloristiche sicuramente evitabili, che rendono pesante qualche situazione di contorno o strumentale.
L'impegno di Gianni Morandi, che in qualche modo raccoglie idealmente la staffetta del suo collega Celentano protagonista del precedente Serafino, ma qui rinuncia completamente al suo ruolo di cantante per dedicarsi unicamente alla recitazione, con risultati più che accettabili, è evidente; ma è Stefania Casini a spuntarla su tutto e su tutti, dando vita ad un personaggio di donna risoluta ma anche piena di timori, tutta alti e bassi e pieno di sfaccettature, in grado di trasformare la sua Carla Lotito nella vera ragion d'essere di un film generalmente sin troppo sminuito e ignorato da pubblico e critica, certo distante dall'apice qualitativo raggiunto dal grande Pietro Germi durante tutto il decennio precedente.
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