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Kika - Un corpo in prestito

Regia di Pedro Almodóvar vedi scheda film

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La recensione su Kika - Un corpo in prestito

di Stefano L
6 stelle

Lost In Film on Twitter: "Pedro Almodóvar with Rossy de Palma and Verónica  Forqué on the set of 'Kika' (1993) https://t.co/TOd9SFzcs3" / Twitter

 

“Kika” di Pedro Almodovar è una delle pellicole meno convincenti del noto direttore spagnolo. Il concept, in sé, non è male, ma il frullato disarticolato dalle nuance a sfondo antropologico, nel complesso, non si digerisce favorevolmente. Le inebrianti circostanze girano attorno a un’impacciata truccatrice coinvolta in svariate, balzane avventure con i suoi clienti, tra cui uno scrittore statunitense in ascesa, Nicolas Pierce (Peter Coyote), vedovo e con un passato oscuro, l'indocile figlio di quest’ultimo e qualche amante bislaccamente “estemporaneo”. Nicholas diventerà lo screen writer di Andrea (Victoria Abril), giornalista accanita, dall’abito grottesco (un sinistro vestito in gommapiuma con una videocamera in cima), a caccia di macabre notizie di cronaca nera, la quale non si farà scrupoli a seguire ininterrottamente i membri di questo cabalistico “ménage à trois”, pur dovendo rischiare la vita in certe occasioni. Quella che sarebbe potuta essere una spiazzante metafora sul voyeurismo e la tv spazzatura si trasforma però in un racconto dal meccanismo farraginoso, il quale spesso cede il passo al mordace ma ordinario effettismo romanzato. L’antitesi che si dipana fra Andrea, donna testardamente temeraria e inderogabilmente legata allo scoop da rotocalco, e Kika, candida e delicata make-up artist, non ha lo spessore adeguato per travolgere completamente l’astante, in quanto la prima è tratteggiata abbastanza didascalicamente nelle sfumature psicologiche, e la seconda, se ascoltata in lingua madre, alla lunga, nel suo atteggiamento melense e un po’ stucchevole, potrebbe risultare monocorde nella zuccherosa, uniforme parvenza. Inoltre sembra non esserci un equilibrio persuasivo nella gestione dei registri, visto che il frappè edulcorato di mistery, melodramma e giallo esagitato è alquanto disomogeneo, e non sprovvisto di passaggi poco delucidanti (pur avendo guardato il film due volte, per esempio, non ho compreso il macchinoso metodo di Andrea con cui cerca di inchiodare l’omicida tramite il confronto delle amletiche inquadrature esaminate dalle VHS segrete). Rimangono quindi un quadro sufficientemente pungente della comunità moderna, basata sull’apparenza e la disinformazione, una buona fotografia e dei rimarchevoli elementi di design, sebbene nel complesso il risultato non è ai livelli degli standard di Almodovar...

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