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Nightmare - Nuovo incubo

Regia di Wes Craven vedi scheda film

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La recensione su Nightmare - Nuovo incubo

di Stefano L
7 stelle

 

Settimo capitolo della turbolenta saga del maestro appena scomparso Craven, dopo una serie di sequel mediocri caduti presto nel dimenticatoio (tranne il terzo, veramente tosto, che non a caso è l’unico dei cinque scritto da Wes e diretto dal bravo Chuck Russell), "New Nightmare" è un esperimento parzialmente riuscito di meta-cinema d’orrore; essendo perfettamente consapevole di non poter stilare una storia che eguagliasse l’originale, Craven ha scelto la strada (che, a quanto pare, non lascerà più) dell’auto-citazionismo sferzante, dell’ironia endemica insita delle sue opere. Gli attori indossano le vecchie maschere in un supplizio fisico in cui Fred Krueger incarna la quintessenza del male stesso, attingendo gli artigli alla sua figura stentorea nella cultura popolare per trasformare sistematicamente la realtà in quel mondo macabro delle pellicole dedicate al boogieman più laido e sozzo della settima arte. Come se non bastasse Fred ha altresì deciso di “possedere” il figlio della protagonista, Dylan (Miko Huges), fino a fargli assumere atteggiamenti che si accingono al comportamento schizofrenico; va subito notato che queste situazioni vicine al parossismo, nonostante l’impegno del giovanissimo interprete, diventano ad un certo punto abbastanza ampollose e ammansiscono la natura atipica della sceneggiatura. Difatti, sebbene l’incipit si mostri solerte e virulento, con il guanto a rasoi che prende vita dispensando morti atroci e terrore, il ritmo della trama rallenta parecchio nella parte centrale, ristabilendosi con una rigogliosa impennata negli ultimi trenta minuti. Le scene splatter non mancano di acume stilistico e raffinatezza truculenta, ma sono pochine, considerando peraltro che l’inclinazione low-budget del progetto ne avrebbe stemperata la fastidiosa censura. Gli effetti speciali, plastici e massimalisti, estendono la morfologia e la superficie degli spazi tangibili per alternare convincentemente il repentino passaggio tra lo stato allucinato e la dimensione materiale, non tonificando comunque la metamorfosi del villain, che rischia a tratti di incanutire la crudele veemenza con cui si scaglia in un primo momento sui personaggi, a causa della caratterizzazione, ormai un po’ asettica e ridondante, dell’antagonista. Englund è sempre energico e minaccioso, sia ben chiaro, ma vincolato dalla caricatura spossante di Freddy. Di questo episodio conclusivo ci rimane quindi quella malìa beffarda dell’autosuggestione del regista nell’aver dato anima e corpo all’incubo definitivo, per poi schernire l'operato e giocare nell’affabulazione narrativa con i meccanismi che hanno portato alla gloria, alla derisione (la Langenkamp riceve una critica piuttosto aspra sull’immoralità e i riscontri patologici dei fan dei vari "Nightmare" nel frangente ambientato nella clinica dove ricovera Dylan in seguito all’ennesimo attacco di isteria), e al declino della conturbante creatura fantastica che ha segnato un decennio, lasciando un marchio indeteriorabile nell’immaginario collettivo. Ciao Wes.

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