Regia di Robert Zemeckis vedi scheda film
Il romanzo da cui è tratto, uscito in America nel 1986, ha venduto almeno un milione e 200.000 copie. Il film è diventato famoso ancor prima di uscire, per la raffinata tecnica di sovrimpressioni grazie alla quale il protagonista stringe la mano ai personaggi che hanno segnato la storia americana recente, da Kennedy a Johnson, a Nixon, a John Lennon. Così, alla fine di agosto, in America aveva già incassato più di 200 milioni di dollari, rivelandosi come il film evento della stagione, che nei suoi 140 minuti ripercorre gli avvenimenti più significativi di alcuni decenni, dagli anni ’50 ai primi anni ’80, attraverso gli occhi di un ragazzo (e poi di un uomo) che ha un quoziente intellettivo sconsolatamente inferiore a 80 (indicata di solito come la soglia più bassa della "normalità"). Tutti presupposti che non invitano alla benevolenza, semmai a un atteggiamento ipercritico. Invece, Forrest Gump è davvero uno dei film chiave della stagione, un ritratto americano amaro e intelligente, che raggiunge senza sforzo un equilibrio esemplare tra spettacolo e sensibilità. Certo Forrest Gump può scivolarci addosso come una commedia su un giovanotto un po' tonto e molto fortunato, che passa miracolosamente indenne attraverso traumi come il Vietnam, la perdita di amici e fidanzate, e che non si accorge di nulla di quello che gli accade. Un inno ottimistico ai poveri di spirito premiati dalla vita. Eppure qualcosa non quadra: Forrest Gump è sì la vicenda di un tonto, ma tutt'altro che povero di spirito, anzi amaramente conscio dei propri limiti; e il suo percorso accidentato e cieco riassume con malinconia l'impotenza collettiva a interpretare la storia contemporanea. Forrest Gump ha due facce: quella inquietante e pessimista del simbolo (stolido) dell'americano moderno (forse non solo moderno e non solo americano), pronto a lasciarsi vivere senza intervenire, e quella utopistica dell'animo semplice che scopre la sua forza (e spesso quella degli altri) proprio nel candore. Due facce che Tom Hanks fonde con un virtuosismo miracoloso, alternando gag e maldestrezza a squardi e soprassalti di consapevolezza (come nel momento in cui scopre di essere padre e chiede, del suo bambino, «E' anche lui stupido?»). E la regia di Zemeckis è tanto intelligente da farci uscire dalla sala con la bocca amara e un senso di inquietudine, nonostante all'apparenza ci abbia raccontato una favola buona. Proprio come sapeva fare, molti anni fa, un maestro gentile ma non pacificato come Frank Capra.
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