Regia di Antonio Pietrangeli vedi scheda film
Il film di Pietrangeli, uno dei nostri migliori e più sottovalutati registi del post neorealismo, prende spunto dalla chiusura dichiarata per legge (la famose "legge Merlin") delle case di tolleranza. Sbattute fuori dai bordelli, molte ragazze, specialmente le più mature, si trovarono senz'arte né parte, talvolta con un gruzzoletto da reinvestire. E' quello che hanno intenzione di fare le quattro protagoniste del film, capeggiate dalla navigata Adua. La loro è un'idea ingenua: mettere su una trattoria in campagna e continuare il loro mestiere di nascosto nelle camere al piano di sopra del ristorante. Ma le ex prostitute, regine fra le quattro mura del bordello, sono assolutamente ignare delle regole che dominano il mondo esterno. Non sanno niente di permessi, di contratti, di fornitori. E si mettono in mano a un laido sfruttatore dalla facciata rispettabile (Claudio Gora, eccellente) che passerà ogni mese a riscuotere la gabella.
L'ingenuità di Adua e delle sue colleghe consiste nel pensare di poter mascherare la loro attività di prostituzione con quella legale di ristorazione, senza minimamente calcolare le conseguenze. Senza calcolare che la loro attività "regolare" poteva essere presa sul serio, anche se non avrebbe reso quanto quella in nero. Ma l'ingenuità che pagano a più caro prezzo le quattro compagne è quella di fidarsi degli uomini. Adua si mette finanziariamente nelle mani dell'odioso Ercoli e ne pagherà le conseguenze con l'obbligo di tornare al vecchio mestiere, per di più sul marciapiede, e sentimentalmente si lega all'infido piazzista di macchine usate Pietro (Mastroianni); l'ingenua Lolita si fa fregare i soldi dallo spiantato impresario teatrale Stefano; Marilina si ritrova un figlio di cui non sa neppure chi e dove sia il padre; Milly potrebbe rifarsi una vita con un timido geometra a dispetto del proprio passato, ma lo scandalo della sua presente condizione allontana il pavido giovanotto.
Adua e le compagne è un tragico affresco di donne, tematica di cui Pietrangeli è stato uno dei nostri autori più compartecipi e penetranti, come dimostrerà con altri film quali l'ottimo "Io la conoscevo bene" (1965). A fare la figura peggiore, però, sono gli uomini: traditori, sfruttatori, vigliacchi, ipocriti. L'unico che si salva è il frate che ha il convento vicino alla trattoria, probabilmente perché la vita monastica, così appartata, l'ha preservato ingenuo, per il mondo esterno, come le prostitute fuoriuscite dal casino.
Il finale del film è di quelli che non si dimentica, ed è uno dei più terribili dell'intero cinema italiano.
Gli interpreti sono tutti ottimi, dalle quattro protagoniste femminili, con una mia preferenza per la Signoret e la Rovere, agli uomini, tutti perfettamente in parte con i loro personaggi che definire meschini è poco: notevoli, nell'ordine, Gora, Garrani, Tedeschi e Mastroianni.
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