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The Meyerowitz Stories

Regia di Noah Baumbach vedi scheda film

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La recensione su The Meyerowitz Stories

di Furetto60
7 stelle

Intrigante e interessante spaccato su di una famiglia disfunzionale. Attori tutti perfettamente in parte.

 Meyerowitz, spaccato di una famiglia disfunzionale molto allargata. Protagonisti sono i membri di questa variegata “tribù”, le cui storie sono raccontate in capitoli singoli. C’è l’anziano  patriarca, Harold alias Dustin Hoffman, uno scultore frustrato, insensibile e cinico; Maureen alias Emma Thompson, la ormai già quarta moglie, alcolista e squilibrata, ma con le  idee ben chiare, poi ci sono i tre figli nati da matrimoni differenti accomunati da una sorta di sindrome dell’abbandono, hanno  preso direzioni diverse: Danny alias Adam Sandler perennemente in pantaloncini corti a connotare la sua immaturità, aspirante musicista ma di fatto disoccupato e Jean grande talento artistico, finita  a svolgere un banale lavoro impiegatizio, fratelli di sangue, poi c’è il più piccolo Matthew, Ben Stiller che è il fratellastro, nonché il prediletto, è anche l’unico della famiglia a non aver coltivato velleità artistiche, ma è diventato un  uomo d’affari di successo.  Matthew vive a Los Angeles mentre Danny, fresco di divorzio, si è appena trasferito a New York per rivedere il padre e accompagnare la figlia Eliza, aspirante filmmaker in soft-porno demenziali, al college. L’improvvisa malattia del padre arriva a riaprire vecchie ferite mai cicatrizzate, facendo vacillare gli equilibri già instabili. Il regista concentra sapientemente la sua attenzione sulla incomunicabilità senza speranza, come se ci fosse un gap transgenerazionale, impossibile da colmare, in molte conversazioni,  padri e figli parlano lingue diverse, seguono linee di pensiero differenti, quando non divergenti, ognuno procede per la sua strada, in incredibili soliloqui, senza riuscire ad  interagire minimamente con gli altri: «Ti piace la fotografa Cindy Sherman?» chiede Eliza al padre, e Danny «Ti avevo parlato di Cindy Sherman due anni fa». si vede come  questa formula di  surreale conversazione, venga poi  nelle scene seguenti, replicata  più volte. Idem per  Harold impressionato dall’incontro con Sigourney Weaver, continua a ripeterlo ai figli, a ripetizione, ma tutti lasciano cadere l’argomento. A sottolineare l’incapacità al dialogo e l’inattitudine all’ascolto.
Baumbach che gira con perizia e gestisce come al solito abilmente il meraviglioso cast, sguazza nella sua dimensione ideale, quella di matrice teatrale, con una sceneggiatura brillante , mette in campo i suoi cavalli di battaglia: i dialoghi serrati, gli scontri verbali, per un gioco al massacro solo potenziale, ma che di fatto resta volutamente in nuce , senza esplodere mai in scene “forti” , ma esprimendosi sempre in piccole schermaglie, risentimenti, rancori sottopelle. Il racconto ruota intorno a tre cardini: la discussione sulla mancata vendita della casa, l’ospedalizzazione di Harold, la cerimonia che inaugura la sua esposizione. In questi tre passaggi, si comprende ciascun personaggio e come si relaziona alla figura paterna, poiché Harold è il costante ago della bilancia di malumori, delusioni, frustrazioni, mai colpevole di grandi delitti, ma autore non si sa quanto volontario, di uno stillicidio di piccole ingiustizie. Harold e le sue mancanze come genitore, sono sicuramente la sostanza del film. Superficialità, egocentrismo e noncuranza sono le sfaccettature caratteriali di questo personaggio, straordinariamente interpretato da un immenso Dustin Hoffman. C’è Harold, tutto il suo mondo, e solo poi, tutti gli altri, ma mai si ha l'impressione che rappresentino una famiglia. Ognuno di loro ha i suoi demoni, che lo logorano e che minano il rapporto con gli altri, nelle piccole cose quotidiane , nelle difficoltà delle relazioni affettive. In sostanza non accadono cose straordinarie, né ci sono grandi eventi, non ci si scontra quasi mai su gravi questioni, solo zuffe estemporanee ed infantili, in cui le questioni davvero importanti vengono sempre marginalizzate. Harold è in perenne autocelebrazione, parte e resta sempre nel suo punto di vista. La considerazione sul prezzo del salmone al ristorante è una chicca esilarante,imperdibile. Interessante il piccolo spaccato sul contesto dell’arte newyorchese, covo di intellettualoidi cinici, che manifestano una vuotezza di contenuti e di profondità, del resto anche Harold, è stato preso per tutta la vita da un lavoro "inutile" fine a se stesso: le sculture di legno “restano di legno”, come gli ricorda il pragmatico figlio Matthew, quasi a denunciare l’inconsistenza di un’arte, che non comunica altro che il proprio autocompiacimento. Baumbach scrive dialoghi, realistici, umani, attenti a restituire la banalità dell’ovvio. E il suo cinema ha momenti di sincerità, sprazzi drammatici ma anche  ironici, di grande fattura artistica. La sua filmografia si ispira molto allo stile di 
Woody Allen ,soprattutto nella scelta dell’ambiente borghese intellettuale e legato al Cinema della Nouvelle Vague di Rhomer, Le storie raccontate sono minimaliste, non minime. Si devono leggere attraverso i piccoli dettagli, che rivelano la sensibilità del regista nel cogliere ciò che le persone tendono a tenere dentro o a nascondere per pudore, per timore, o per timidezza. Cinema di buona qualità

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