Regia di Noah Baumbach vedi scheda film
Se un uomo si sposa quattro volte, fa tre figli con due donne diverse, ne delude uno, ne trascura due e perlopiù rifiuta le regole della società in una specie di estensiva misantropia, non può poi pretendere di ritrovarsi a trascorrere una vecchiaia in serenità e armonia con la propria famiglia e col resto del mondo. La gran confusione della sua esistenza, invece, si riverbera sugli ultimi anni che gli restano, lo rende infelice e incapace di trasmettere gioia a chi gli vuol bene ma è anche molto arrabbiato con lui. Inefficace nel donare serenità e soddisfazione a se stesso. Appesantito e rattristato, con l’autostima in frantumi, a causa pure della mai decollata carriera di scultore.
The Meyerowitz Stories si appoggia quasi del tutto alla sceneggiatura scritta dallo stesso regista Noah Baumbach (uno che con la macchina da scrivere ci sa indiscutibilmente fare), che ambienta nella sua New York, ai giorni nostri, questa storia che oscilla in continuazione fra drammatico, umorismo sovente nutrito di nonsenso e tanta amarezza che più di ogni cosa deriva da un diffuso senso di fallimento esistenziale. “Ti perdono, perdonami, grazie, addio”, dice uno dei figli al padre in una delle ultime scene dell’opera. Dialoghi intelligenti, lunghi (anche troppo), serrati, con passaggi a tratti demenziali fra i protagonisti di questa sorta di famiglia ebrea allargata, i quali saltellano da un argomento a un altro, con frequenti interruzioni dei ragionamenti. Come se nessuno ascoltasse mai sul serio quello che l’interlocutore gli ha appena detto.
Una delle costanti del flusso narrativo è la sensazione che quasi tutti i personaggi siano affetti da un deficit dell’attenzione che poi è metafora del bisogno di distacco dal familiare. Per una sorta di rancore difficile da esprime ma che quando erutta lo fa in modo violento. È il caso della lite scatenata dal figlio maggiore che a un certo punto non si trattiene dal rinfacciare al padre di essere stato distratto e distante quando lui era piccolo. O di quella, che finisce in rissa, tra i due fratellastri che, da un momento di affettuoso confronto scivolano nello scontro trascinati da un risentimento atavico.
Difficile stabilire se il protagonista del film sia il padre, visto anche il carisma di Dustin Hofmann, o i figli, considerata l’altrettanta efficacia recitativa in particolare di Adam Sandler e Ben Stiller, quest’ultimo alla terza prova sotto la direzione del regista newyorkese. Lungometraggio di fine cerebralità, The Meyerowitz Stories non riesce tuttavia a trascinare con pieno entusiasmo. Non mancano certo momenti di divertimento, ma non si può parlare di autentica soddisfazione in fatto di spasso. Il paragone con l’intellettualità di un Woody Allen è quasi automatico, ma con Baumbach di risate vere e proprie non ce ne sono. Gli attori principali sono tutti bravi, anche se Stiller appare un po’ sacrificato in un ruolo che non gli concede mai di liberare la sua spontanea comicità. Sandler, specialista del ‘leggero’, conferma qui la predisposizione per il dramma, come aveva già fatto grazie all'ottima interpretazione in Reign Over Me. Un po’ sprecata anche se efficace Emma Thompson nelle vesti di una semi alcolista, ultima moglie di papà Hofmann. Promossa la 21enne Grace Van Patten, al suo primo ruolo di una certa rilevanza. Film da vedere, in ogni caso, per far funzionare un po’ il cervello.
Molto divertente, voto 7,5
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