Regia di Noah Baumbach vedi scheda film
The drip of life.
Primo tassello, anno 2017, della proficua collaborazione tra Noah Baumabach e Netflix, cui seguiranno i fondamentali “Marriage Story” e “White Noise”, questo “the Meyerowitz Stories (New and Selected)”, interamente scritto e diretto dal regista e sceneggiatore, grazie anche, ma non solo, alla sua connotazione, come da titolo, episodica (e, “quindi”, letteraria: da “the Royal Tenenbaums” di Wes Anderson del 2001 a “Listen Up Philip” di Alex Ross Perry del 2014), mantiene un ritmo pacatamente indiavolato dall’inizio alla fine, mai adagiandosi o spegnendosi: il montaggio della sodale Jennifer Lame impagina a dovere la messa in scena del copione e, pur con un’evidente sorta di abuso dei tagli anticipati che mai ne storpiano l’andatura, consente allo stile di veicolare il contenuto, dando forma alla sostanza; Adam Sandler (che, occorre sempre ricordarlo, ha fatto anche cose buone: qui, ad esempio, valga la carrellata/zoom in avanti de/ri-costruita con una manciata di jump-cut: “I love you. I forgive you. Forgive me. Thank you. Goodbye.”) e Ben Stiller (che tiene botta e conferma il talento senza stroppiare durante il periglioso monologo pre-finale), Dustin Hoffman (che restituisce alla perfezione il “ritratto” che ne fa il figlio maggiore: “You know, sometimes I wish dad had done one horrible, unforgivable thing, something specific I could be angry about... But it isn't one thing, it's tiny things every day. It's drip, drip, drip.”) ed Elizabeth Marvel (“I'm glad you guys feel better. Unfortunately, I'm still fucked up. You want to take a swing? I could smash every car in this parking lot and burn the hospital down and it wouldn't un-fuck me up. You guys will never understand what it's like to be me in this family.”), Emma Thompson e Grace Van Patten, Candice Bergen e Judd Hirsch, Adam Driver e Rebecca Miller, più il cameo di Sigourney Weaver, abitano i racconti di questi giorni della schiatta Meyerowitz, dal patriarca alle nuove leve, chiudendo il cerchio, a mo’ di fionda gravitazionale, prendendo abbrivio dal passato verso il futuro, nel deposito à la Amazon del Whitney Museum of American Art; e la naturale fotografia blandamente iperrealistica di Robbie Ryan (che troverà compimento nel successivo e già citato “Marriage Story”) e le inconfondibili musiche di Randy Newman (testi suoi, di Sandler e di Baumbach) completano il quadro.
Impagabile, poi, tutta la costruzione delle dinamiche instauratesi irreciprocamente fra i parenti del paziente e (l’imprinting con) la prima infermiera.
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