Regia di Noah Baumbach vedi scheda film
Noah Baumbach è ormai riconosciuto quale potenziale novello Woody Allen, ovvero come il nuovo cantore dell'intellighenzia ebraica newyorkese.
I suoi film sono sempre pieni di simboli da cinema della Grande Mela (le strade, i musei, i locali, le nevrosi) e i divi fanno la coda per apparire, anche solo per un breve cameo (come Sigourney Weaver in quest'ultimo).
Le sue sceneggiature sono fortemente scritte e colme di dialoghi brillanti, relegando l'azione fuori dal campo grazie alla prevalenza di uno stile asciutto, quasi documentaristico (anche se in questo caso condito da un sapiente uso dei tagli, molto netti, che spesso collegano due scene susseguenti in modo brutale e quasi contrastante con un effetto volutamente ironico).
In questo suo ultimo lavoro ritorna a scandagliare le famiglie disfunzionali (come un Wes Anderson più malinconico e psichiatrico, diciamo un Wes Anderson dei colori freddi), concentrandosi nuovamente sul confronto tra generazioni e sul complesso intreccio tra realtà, ambizioni, illusioni e delusioni (proprie e altrui) attraverso le vicissitudini della progenie di un artista umanamente disastroso (interpretato da un Dustin Hoffman finalmente di nuovo al meglio delle sue capacità recitative), frammentando nella narrazione una parte delle loro vite come se ci si trovasse ad un’esposizione di opere, come sottolinea anche il titolo originale del film (in Italia semplificato dalla distribuzione per venire incontro alle nostre capacità mentali): il film stesso è diviso in capitoli – cartellini, ognuno con il nome di un figlio (i selected) più una nipote (la new).
Baumbach si è ammorbidito rispetto alla crudeltà dei suoi esordi ed i suoi personaggi, per quanto umanamente a brandelli, sono sempre guardati con un certo affetto, figli abbandonati ma incapaci di abbandonare a loro volta nel solito gioco di ruolo degli affetti dove si cerca di compensare col proprio la mancanza di amore altrui.
Un’opera corale matura, stratificata e complessa, ottimamente recitata da tutto il cast, che conferma quanto di buono già sappiamo su uno dei registi più coerenti e personali degli ultimi anni.
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