Regia di Francesco Carrozzini vedi scheda film
Dopo la morte del padre, il fotografo e regista Francesco Carrozzini si rende conto di non aver mai avuto la possibilità di conoscerlo a fondo e di porgli delle domande. Realizza allo stesso modo di aver fatto lo stesso con la madre e decide di rimediare intervistandola. La madre di Carrozzini però non è una donna qualunque: è colei che nel corso degli ultimi 26 anni ha contribuito a dettare moda e arte attraverso le pagine di Vogue Italia, la testata che dirige ininterrottamente dal 1988. Al pari (o forse più) di Anna Wintour negli Stati Uniti, Franca Sozzani ha provveduto a rendere Vogue Italia un simbolo dell’arte, valorizzando la fotografia, veicolando messaggi sociali e finendo spesso nell’occhio del ciclone per le sue provocazioni.
La prima domanda che Francesco pone alla madre è simbolica dell’intera personalità della Sozzani: hai mai fallito? Occorrono 80 minuti prima di arrivare a una risposta che lascia scoprire la fragilità di una figura che dall’esterno appare spesso dittatoriale, fredda e distaccata. Con l’aiuto di fotografie, filmati amatoriali provenienti dagli archivi di famiglia e interviste a esponenti della fotografia, della moda, dell’arte concettuale e della filosofia, Franca risponde con onestà a ogni domanda che il figlio che le pone, si arrabbia quando crede che queste siano poste o formulate male, ironizza sulla bruttezza del suo amato pargolo da piccolo e ripercorre le sue tappe, caratterizzate anche da un rapporto mai del tutto chiarito con un padre che non capiva la sua professione (“parli 4 lingue diverse, hai una laurea in filosofia e fai la governante?”, si sente dire la giovane Sozzani mentre è impegnata in uno dei primi servizi della sua carriera).
Ma ripercorrere la storia di Franca vuol dire in primo luogo ripercorrere la storia e il successo di Vogue Italia. Passano sullo schermo le immagini dei servizi che, voluti da Franca, hanno fatto scalpore a ogni latitudine. Le campagne per le modelle curvy e per le modelle dalla pelle nera, quelle sulla violenza domestica e gli omicidi casalinghi, quelle ironiche sul ricorso alla chirurgia plastica e quelle angoscianti per il proliferare delle dipendenze da droghe o alcol, sono finite sui mass media di tutto il mondo, accompagnate spesso da servizi della CNN e tweet al vetriolo di chi, non comprendendole, le definisce semplicemente “merda”. Il contributo che Franca dona alla rivista entra nella storia a partire da un numero in cui in copertina si piazza Madonna in posa come la Monroe: quel numero segna definitivamente il passaggio di Vogue dall’essere una testata commerciale al divenire un veicolo di trasmissione artistica. Il cambiamento che ha apportato non è stato semplice da far digerire né all’editore (pronto a licenziarla al primo sbaglio) né ai clienti, alle case di mode che spesso si vedono “oscurati” i loro capi per cedere posto a un paginone con la foto di un fiume siberiano. Cosa spinge Franca a decidere cosa è appropriato e cosa non lo è sono fondamentalmente l’istinto e il sogno. Tutti sogniamo e le immagini di Vogue contribuiscono a ricostruire un sogno, a contestualizzarlo e a farlo vivere, contro tutto e contro tutti. Che fosse testarda Franca lo si capisce sin da quando appena bambina sceglie di essere portata in collegio: “a casa dovevo aspettare il mio turno per parlare e no era sicuro che mi si ascoltasse… scelgo il collegio perché almeno lì si sta in silenzio e le poche volte in cui si parla tutti ti ascoltano”.
Pur rischiando di essere in qualche punto agiografico, Franca: Chaos & Creation (titolo che richiama un dipinto di Dalì) ha il pregio di far storia del giornalismo, presentando l’esponente forse più libera e meno conservatrice che l’editoria italiana contemporanea conosce. E regala, senza retorica trionfalista, un accesso senza precedenti alla vita di un simbolo per mostrare l’essenza di una donna a cui manca molto l’amico Gianni Versace (con cui ha contribuito a creare il fenomeno delle cosiddette “supermodelle”), che considera il figlio il più grande amore della sua vita (e la cosa di cui va più orgogliosa), che sogna ancora (“vorrei incontrare il Papa per chiedergli dove trova così tanta fede”), che tesse rapporti che durano un’intera vita, che non si sente genio pur riconoscendo la sua grandezza di genio e che ammette liberamente di avere fallito in una sola cosa: non avere conosciuto l’amore vero. E che non ha paura di mostrarsi così com'è, con pregi e debolezze che solo l'occhio amorevole di un figlio sa riconoscere.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta