Regia di Ronny Trocker vedi scheda film
Annientamento. La storia inizia e finisce con una solitudine senza rimedio.
Un mondo senz’aria. Soffocato dall’invisibilità, mentre sta annegando nel buio. Un maso tirolese, isolato e cadente, è l’abitazione di due anziani coniugi, Marianne e Rudl, che sopravvivono tra la legna da tagliare, le bestie da accudire, una pentola in cui cuocere la minestra, un cane come unica vera compagnia. Il paesaggio ha il colore nebbioso della pietra grigia e nera delle pareti secolari, in cui si confondono le macchie di sporco e i contorni delle spaccature. Lassù non viene mai nessuno. Nessuno si cura di ciò che vi accade, che inizia, che finisce, o che magari prova a partire, infilandosi subito in un vicolo cieco. La vecchia teleferica si ferma a metà strada, dopo un paio di metri. Un cassone di legno penzola tristemente nel vuoto. Si direbbe un residuato delle antiche immagini del lavoro in miniera, quando i dislivelli erano distanze gigantesche ed imponenti, da sfidare con la povera arma di un corpo di cui si avvertiva più il peso che la forza muscolare. Anche Rudl è ormai soprattutto una massa inerte. Il suo passo è bloccato dagli anni e da un gesso che gli stringe la gamba. Salendo sul tetto, sarà sconfitto dalla gravità. La terra è un universo di viscere ingorde di vite, avare di risorse. Lo sa bene Albert, il figlio che scava gallerie nella montagna, per estrarre un marmo che è sempre più scarso, dentro profondità sempre più instabili e pericolose. L’altezza è un mostro che non si può vincere, che minaccia perennemente di schiacciarci, con la violenza di un crollo, di una frana, di una valanga, come quella che, quarant’anni fa, ha ucciso in un colpo solo i tre fratelli di Albert. Un mastodontico mostro geologico incombe sull’immobilità degli uomini, presi nei legami che li inchiodano al suolo, nell’impossibilità di andare via, di ribellarsi, di trovare altrove quello che manca. Intanto un sisma continuo e silente scrolla via le opportunità di rinascere restando sul posto, aggrappandosi a quel poco che c’è, e che tende mano a mano a svanire, come per un crudele incantesimo. Alla fedeltà ai luoghi natii il destino risponde con un tradimento: chi rimane è perduto. La solitudine è la prima fase della condanna. Albert la vede crescere intorno a sé, mentre, disegnando cerchi concentrici, miete le sue vittime con inesorabile determinazione. Uno alla volta, tutti spariscono, sulla scia di tanti no e qualche sì, in una danza mortale, indifferente alla rassegnazione come alla speranza. Il film di Ronny Trocker scorre con la lugubre placidità dei meccanismi fatali, che vanno avanti da soli, perché non hanno bisogno di niente, di nessuna motivazione, di nessuno scopo, se non quello di essere esecutori di un disegno di definitiva devastazione, di una immane volontà desertificatrice dell’umana esistenza.
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