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Malaria

Regia di Parviz Shahbazi vedi scheda film

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La recensione su Malaria

di OGM
6 stelle

La rivoluzione è finita. Ma, nell'Iran non più nemico, la salvezza non è ancora arrivata.

Poveri giovani. Ribelli ed impotenti. Ridotti a guerrieri senza speranza, colti nell’imbarazzante atto di impugnare la libertà come un’arma spuntata. È quella la loro debolezza: il pensare in proprio, il voler essere, l’istinto di andare oltre. Nell’Iran dei giorni nostri si aggira una oscura utopia: la pacificazione con l’Occidente ha ispirato un sogno che appare fermo ai blocchi di partenza, tenuto in ostaggio da una rigida tradizione culturale che non intende mollare la presa. Le nuove generazioni vagano, a bordo di un veicolo carico di musica rock, amore vero, interesse per il mondo, ma non trovano un posto dove possano stabilirsi per vivere in pace e cominciare a costruire qualcosa. I loro selfie sono immagini sfocate, contenenti solo un rudimentale abbozzo di una moderna forma di felicità; gli stessi apparecchi tecnologici servono soprattutto per inseguirli, per arrestare la loro fuga, per tenerli legati ai tentacolari vincoli familiari. Questa storia è un road movie frustrato, tentato mille volte, e sempre fallito, con una meta eternamente sfuggente, e tanti approdi illusori, tutti ugualmente deludenti, immersi nel vecchiume di un universo arcaico ed ottuso, anacronistico ma irremovibile. Il cambiamento è un idolo in catene, di cui si parla ad alta voce all’esterno del Paese, mentre al suo interno vi si può solo segretamente pensare, custodendolo dentro il cuore, magari abbellendolo con la forza della fantasia. Intorno la barbarie si è fatta solo più sommessa, ha smorzato i toni, ma non è diventata meno tenace. In pubblico indosserà anche la maschera sorridente di una scatola di pulcini colorati venduti al mercato, ma in privato è quella di sempre, oppressiva e schematica, inquadrata nel dogmatismo che non concede spazio alcuno alle scelte dettate dal sentimento. Una coppia di ragazzi scappa dalle imposizioni dei genitori, contrari alla loro relazione: lungo il tragitto non incontreranno nessuno disposto ad aiutarli, a parte un loro coetaneo artista, che li farà salire sul suo pulmino, traghettandoli attraverso un’emblematica odissea senza sbocco, nella quale il ritorno alla realtà è un fastidioso leitmotiv,  sgradevole come il suono di un disco incantato. Questo film avanza a malapena, imitando il movimento di un nastro costretto a riavvolgersi continuamente, ad ogni imperfezione della traccia, impossibilitato ad imboccare una volta per tutte lo slancio della propria armonia. Lo strumento è rotto, forse è stato subito sfondato da un eccesso di entusiasmo, dal peso maldestramente distribuito di un desiderio forte ed inaccorto. Avere vent’anni, a Teheran, è una dolce maledizione. Un impulso trasgressivo caduto vittima di un incantesimo, che nessuna benefica magia è venuta a spezzare.    

 

scena

Malaria (2016): scena

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