Regia di Deepak Rauniyar vedi scheda film
Venezia 73 – Orizzonti
White sun è un piccolo film che partendo da una questione strettamente privata, e limitata a un luttuoso evento, riapre ferite e vecchie diatribe lasciate morire nel tempo, per poi aprirsi ulteriormente a un discorso che affronta le divergenze generazionali e la trasformazione di una nazione intera, il Nepal.
Alla morte di un uomo anziano, suo figlio fa dopo tanti anni ritorno nel suo paese natale per il rito della sepoltura.
Al suo arrivo, ritrova la sua famiglia, abbandonata tempo addietro per partecipare attivamente alle lotte progressiste, e un mondo rimasto fermo com’era una volta.
Anche senza volerlo, dovrà riaffrontare alterchi mai sopiti e sempre più scottanti.
Si parte con un rito, datato e che richiede regole al limite dell’assurdo, come quello di dover trasportare un cadavere fuori di casa senza utilizzare la porta, per poi schiudere un passo dopo l’altro una serie di dinamiche che completano riquadri dalla visione sempre più estesa.
Inevitabilmente, c’è un discorso politico, con due fazioni perennemente in disfida e sacrifici necessari come le priorità sono stringenti, ma soprattutto un brillante discorso generazionale.
Se i più anziani non accettano alcuna modifica alle loro abitudini, rendendo alcune semplici azioni impervie, gli adulti sono in disaccordo tra loro, agli alti livelli, vedasi appunto la delicata situazione politica, così come nel quotidiano, con lo scontro tra fratelli divisi praticamente su tutto. La vera speranza per il futuro risiede nelle menti sgombre dei più piccoli, ancora incontaminati, con quella spontaneità, voglia di rendere tutto un gioco, e anche di essere dispettosi tra loro, che li rende, se non uguali, simili a tutte le latitudini del mondo.
Questo aspetto è esplicitato in modo incontrovertibile nella (bellissima per controllo e gesto) scena che taglia le gambe a ogni discussione, un ulteriore punto a proprio favore di un racconto molto fluido, che sa essere chiaro grazie a motivazioni importanti in più, il luogo, così come i volti caratteristici, rendono il contorno quasi documentaristico, con una vallata generosa di natura, ripidi sentieri, solcati durante una processione infinita, e lunghe scalinate di accesso.
Pur non parlando di una pellicola miracolosa, il regista Deepak Rauniyar dimostra di avere in testa, non solo una visione generale nitida e regolare nell’esporre un pezzo alla volta, ma anche capacità di inquadramento scenico che permettono alla sua opera di non essere visivamente povera come l’origine nepalese, anche se è pur sempre una coproduzione internazionale, farebbe pensare intimorendo chi teme tempi lunghi e dialoghi risicati, due aspetti che non la riguardano.
Una piccola lezione, soprattutto per chi è sempre, e comunque, incardinato sulle sue posizioni.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta