Regia di Bill Morrison vedi scheda film
In Dawson City: Frozen Time c’è l’avventura di un secolo raccontata in diretta dai suoi protagonisti, metastoria, dunque, incrocio tra storiografia, filosofia e rappresentazione del mondo, satura nel senso latino del termine, miscuglio di frammenti sparsi ricomposti a ricostruire il senso nascosto delle cose.
Dawson City, Canada nord occidentale, 350 miglia a sud del Polo Nord, sul confine con l’Alaska.
Il nome non direbbe nulla se non fosse quello del villaggio dove una volta i bianchi venivano a scambiare pelli con gli indiani, ma che negli anni Ottanta del diciannovesimo secolo diventò la capitale della corsa all’oro.
Klondike, torrentello affluente del fiume Yukon, entrò allora nel catalogo dei nomi celebri, di quelli che, non si sa quando né come, si stampano nella memoria di ognuno fin dall’infanzia.
Sarà per la storia di Paperon de’ Paperoni e Doretta Doremì, sarà per Zanna Bianca o per le fortune nel ramo bordelli della dinastia Trump, Dawson City e il Klondike sono luoghi della memoria che tra storia e fantasia, letteratura e realtà se la battono con Troia e con Neverland, Camelot e Atlantide
Il posto non è cambiato molto da allora, casette ad un piano tutte di legno predisposte a begli incendi, due chiese, una anglicana e l’altra cattolica che svettano fra i tetti, una banca, un centro sportivo (D.A.A.A.) e un teatro dove ancora si balla il can can.
Sullo Yukon river un vecchio battello adibito a museo accoglie i turisti, la corsa all’oro del Klondike è una vecchia storia che col tempo ha preso il fascino del mito e si può raccontare ai bambini (magari sorvolando sulla storia dei bordelli di Trump e soffermandosi invece sui loro piccoli antenati che si divertivano a dar fuoco con scoppi tremendi alle pellicole in nitrato che spuntavano qua e là dal ghiaccio della pista di pattinaggio e campo di hockey).
Sì, è una vecchia storia anche questa.
Gli abitanti di Dawson City raddoppiarono, triplicarono in pochi anni sul finire del secolo. Oro ce n’era, e tanto (anche se poi finì e altrettanto in fretta il paese si svuotò).
Dunque bisognava attrezzare anche il divertimento, e insieme allo sport anche il cinema fece la sua parte.
Erano gli anni d’oro (è il caso di dirlo) della invenzione dei Lumière, si giravano film a non finire e ci fu chi fece gran fortune aprendo sale di proiezione.
A Dawson City il glorioso cinema Orpheum è sparito, per colpa di un incendio, solo da pochi anni, ma di pellicole se ne videro, e tante.
Purtroppo Dawson City era solo l’ultimo anello della filiera e quando i film arrivavano a questo confine del mondo nessuno li voleva più indietro, i costi di spedizione e l’avvento del sonoro suggerirono di farne bei falò o, in alternativa, buttarli con le casse nel fiume.
Alla fine degli anni Venti del secolo scorso, dunque, una buona quantità di glorie del muto finì tra i gorghi dello Yukon, ma una parte sparì anche sotto la piscina del centro sportivo, fiore all’occhiello della cittadina, destinata ad essere interrata per diventare un campo di hockey.
“Che ci facevano casse di pellicole sotto una pista di ghiaccio? “ chiede allibita la simpatica signora con marito sorridente e affettuoso che racconta al pubblico dallo schermo la storia del ritrovamento.
La risposta non tarda ad arrivare, per lettera, dal distinto signore che aveva ordinato di piazzare lì le casse a fare da riempitivo. Il tempo ha fatto il resto, scorrendo intatto fra i ghiacci fino agli anni settanta, quando le scatole di ferro arrugginite tornarono a galla con il loro carico mirabolante.
Tutto insomma può accadere a Dawson City, e come lo scheletro di Riccardo III duca di Gloucester e re d’Inghilterra sbucò bel bello nel 2013 sotto un parcheggio di Leicester a Londra, così un deposito di film oggi più prezioso dell’ oro è riapparso durante i lavori per la ricostruzione del vecchio centro sportivo andato in malora.
La fortuna di Dawson city, capitale del Klondike, continua, e oggi si chiama Bill Morrison.
Bill Morrison è quanto di meglio si possa desiderare nel campo dei documentari d’arte.
Il suo lungo e prestigioso curriculum di pittore con profondo interesse per il cinema vanta collaborazioni importanti anche nella musica, con nomi celebri come Philip Glass, Gavin Bryars, Steve Reich, Bill Frisell, Jóhann Jóhannsson, Kronos Quartet, Erik Friedlander, Bang On a Can.
Una retrospettiva al MoMa di New York due anni fa ha fatto conoscere al mondo il suo lavoro certosino di selezionatore fra pezzi di antiche pellicole del muto per creare “composizioni visive”, storie della visione che incorporano i segni della decomposizione del materiale, il nitrato, al repertorio di immagini sopravvissute per creare straordinari found footage.
Immagini e musica si fondono in dissolvenze incrociate, le figure sonore traducono il contenuto delle immagini e la musica non si contamina con le figure espressive piuttosto le esalta, fornendo un linguaggio nuovo, oltre le barriere consuete della comunicazione audiovisiva.
La storia di Dawson City, origine, sviluppo, ascesa e declino, è qualcosa che sta tra il brechtiano Ascesa e caduta della città di Mahagonny e il larsvontrieriano Dogville , ma con un valore aggiunto, il cinema e la sua archeologica presenza di reperto restaurato e custodito in teche di cristallo alla vista di intenditori e amatori.
Morrison racconta una storia vera e lo fa col cinema e per il cinema
I pezzi di pellicola con i frammenti che contengono, le riprese dal vero, i filmati di repertorio, le interviste e le fotografie sono assemblati in un insieme che scrive un capitolo nuovo nella storia della visione.
In Dawson City: Frozen Time c’è l’avventura di un secolo raccontata in diretta dai suoi protagonisti, metastoria, dunque, incrocio tra storiografia, filosofia e rappresentazione del mondo, satura nel senso latino del termine, miscuglio di frammenti sparsi ricomposti a ricostruire il senso nascosto delle cose.
La musica seriale di Alex Somers fornisce una ossessiva piattaforma sonora allo scorrere delle scene, vista e udito si rincorrono, l’immobilità del ghiaccio e la frenesia del fuoco che divampa dal nitrato entrano in rotta di collisione, aria, acqua, terra e fuoco tornano protagonisti di una vicenda umana ciclica, tutto passa e tutto torna.
Non vi è nascita
di nessuna delle cose mortali, né fine alcuna di morte funesta,
ma solo c'è mescolanza e separazione
di cose mescolate,
ma il nome di nascita, per queste cose, è usato dagli uomini.
Empedocle, D-K 31 B8
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