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Maudite Poutine

Regia di Karl Lemieux vedi scheda film

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La recensione su Maudite Poutine

di OGM
7 stelle

Un paesaggio marginale e disperato. Due fratelli che credono, fino all'ultimo, di potervi degnamente vivere e morire.

Catasta di mobili spaccati con rabbia. È una montagna che si può quasi scalare, avendone voglia. È il cumulo di detriti di una vita intera,  fatto dei frammenti di un sogno infranto.  La violenza in bianco e nero di questo sperduto lembo di Québec ha l’odore metallico del rock un po’ infracidito dagli aromi del bosco e dell’erba da fumare. Il sapore è aspramente speziato come quel dialetto masticato rozzamente fra i denti, con una ritmicità strascicata che sembra volersi fare melodia. La desolazione cigola di poesia mancata, e così non riesce a mantenersi sobria. È ubriaca di musica, di droga, di degrado, di rinuncia, di botte, di smania di annientamento, di tante cose che, comunque sia,  hanno l’istinto di intraprendere vie tortuose, perché la linearità non si concilia con l’impeto della ribellione. Trasgredire è rubare un carico di roba ad una banda di malfattori e passare dei guai, da poveri diavoli che non hanno i mezzi per lottare. Questo è il vero tormento underground: essere soli e miseri in un mondo cattivo, alla cui cattiveria non si riesce a partecipare. Forse è questa frustrazione a rendere l’atmosfera così ovattata, incapace di impadronirsi dell’urlo interiore di Vincent e Michel, due fratelli che si amano a distanza, chiuso ognuno nel proprio mondo impossibile. Nella chimera di diventare una popstar. Nell’illusione di essere uno che conta nell’ambiente criminale. L’orizzonte è un deserto ristretto e senza tempo, che sa di periferia del nulla, come una discarica pronta a raccogliere i rottami di una normalità che resta lontana, che da quelle parti non si fa vedere, nemmeno per venire a depositare i rifiuti.  Capita così che la tristezza debba provvedere da sé a procurarsi le macerie su cui piangere, di cui sbarazzarsi, a cui dare fuoco. La spazzatura non è inclusa nel prezzo della disperazione. Bisogna ingegnarsi per crearla,  e in una maniera credibile, che sappia davvero di grande tragedia, di profondo orrore, di radicale devastazione. Occorre metterla in scena con una mostruosa dose di cinica immaginazione, accendendo il senso di abbandono con le fiamme delle catastrofi epocali. Sul limitare della follia,  al momento debito si addensano gli spettri dell’inconsistenza, fino a diventare presenze infernali.  La storia conquista allora il titolo di vero incubo, di quelli che fanno paura a chi guarda, e non sono soltanto la deprimente ossessione di chi ci sta dentro. Il racconto avvampa per un singolo istante, mettendocela tutta, per quello che può. Si immola come un pezzo di immondizia che non sa più come farsi notare. Forse, per l’occasione, si tinge anche un po’ di eroismo, di epica, di romanzo di guerra. E finisce subito in cenere, grigia nel grigiore di sempre che non batterà mai più ciglio.      

 

scena

Maudite Poutine (2016): scena

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