Regia di Reha Erdem vedi scheda film
Scappare lontano. A pochi passi dal mondo civile. A mille miglia dalla paura ingiusta, innaturale, dei pericoli inventati dall'uomo.
Soli. Due giovani alle prese con la natura primitiva. La loro. Fuggire dalla civiltà può significare il coraggioso abbraccio con la libertà che precede ogni forma di cultura, che vive nel mito anche se non lo comprende, anche se ne ha paura. Nella Turchia delle tradizioni arcaiche, quelle che la modernità rende solo più meccaniche e crudeli, Ali e Zuhal, due orfani separati da tempo, si ritrovano per ristabilire un antico equilibrio basato sul sangue, inteso sia come legame fraterno, sia come atavico strumento di vendetta, di purificazione, di salvezza. Lui si sporca le mani per riscattare lei da un destino ingiusto. Insieme si nascondono al mondo, cercando rifugio in un bosco, abitando in una capanna, affidandosi alla fortuna per sopravvivere, un giorno dopo l’altro. La foresta è il luogo dimenticato e deserto in cui tutto finalmente si spiega. Persino la morte parla a viso aperto, con il linguaggio degli animali trasfigurati dalla fede nella reincarnazione, con la follia che è il modo più diretto di andare incontro alla verità. Quel territorio, vuoto eppure lussureggiante, ostile ma in fondo complice, ospita i misteriosi retroscena della vita, nei quali perdersi è venire, una volta per tutte, a contatto con se stessi, per scoprire che la felicità più autentica è quella infarcita di fremiti di terrore, di brividi di freddo, di vertigini che accompagnano i palpiti dell’incertezza, così simili al batticuore della passione. Il film di Reha Erdem rivela una spiritualità selvatica che coincide con la primordiale poesia delle emozioni, quelle che spaventano perché sgorgano dal nulla, da un fruscio udito in mezzo all’erba, da un’ombra intravista tra le piante. Quel silenzio dà voce ad un richiamo altrimenti impercettibile, che, attraverso le necessità primarie, invita il corpo e l’anima ad una sobrietà che insegna la gioia di bastare a se stessi, di offrirsi nudi alle imperscrutabili possibilità del futuro. Una vecchia pazza si sente cercata dal padre che è morto da anni, e così, morendo infine anche lei, lontana dagli occhi di tutti, chiude il cerchio logico di un divenire che la ragione non riesce a cogliere, ritenendolo paradossale, contrario alla linearità del tempo e dei progetti che pretendono di disegnarne i contorni. La fiaba di una speranza smisurata, perché incosciente, fiorisce dall’incubo, dal trauma che ogni tanto riemerge a ricordar come l’inizio sia stato solo la fine di qualcosa, punto di arrivo di un mai più che solo così, al riparo dal caos della normalità, può spalancarsi su un domani infinitamente esteso, informe perché grande e sconfinato come l’universo. La magia, una volta innescata, dura per sempre. Non la infrange nemmeno il forzato rientro nella realtà ottusa che si rifiuta di conoscere altro all’infuori di sé.
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