Nel cinema il matrimonio nelle sue molteplici accezioni è stato raccontato con una varietà di toni e di punti di vista che dal kammerspiel d'autore ("Scene da un matrimonio" di Ingmar Bergman)) alla commedia multietnica (Il mio grosso grasso matrimonio greco di Joel Zwick) hanno fornito opinioni quanto meno contraddittorie a proposito delle unioni nuziali. Meta obbligatoria e preludio d'eterno amore per taluni, pietra tombale di qualsivoglia slancio sentimentale per altri, la vita coniugale occupa una posizione centrale nel filmografia dell'israeliana Rama Bushstein, la quale, nell'opera d'esordio (La sposa promessa) oltre a riconoscerne l'importanza e anzi, enfatizzandone gli aspetti legati ai concetti di altruismo e di mutuo soccorso presenti nella formula declamata dai partecipanti (Shira è spinta a sposare il marito della sorella per occuparsi del neonato partorito dalla ragazza prima di morire) si è spinta oltre, considerandola alla luce delle implicazioni - religiose e sociali - che tale unione comportava all'interno della comunità ebreo ortodossa a cui la stessa Burshtein appartiene. Tutte caratteristiche di una poetica che nel nuovo "Un appuntamento per la sposa" (Through the Wall) la regista riprende nella figura di Michal (Noa Koler, attrice dal piglio Almodovariano), la quale pur abbandonata dal fidanzato alla vigilia delle nozze decide comunque di non cancellare l'evento, convinta che l'aiuto di Dio le permetterà di incontrare un sostituto all'altezza delle aspettative. Partendo da questo singolare incipit, "Un appuntamento per la sposa" descrive le giornate che separano la protagonista dalla data del matrimonio, concentrando il proprio interesse sulle situazioni e i contrattempi (quasi sempre legati ad aspetti che hanno a che fare con i "tic" religiosi dei candidati) che scaturiscono dagli appuntamenti mediante i quali Michal spera di trovare il suo cavaliere.
Portando sullo schermo un'altra eroina vitale e anti conformista la Burshtein continua a scandagliare l'universo umano e filosofico di quella parte della comunità ebraica più oltranzista e conservatrice le cui regole e stile di vita diventano oggetto di un'analisi tutta al femminile nella quale a essere messo in discussione non è l'ordine precostituito, ne la posizione dominante della compagine maschile - vivisezionata nelle sue contraddizioni e qualche volta messa anche alla berlina - quanto piuttosto una tipologia di donna tradizionale a cui la Shira de "La sposa promessa" e soprattutto la Michal del nostro film ne antepongono un'altra che agisce con la volontà di determinare il proprio destino, consapevoli del rischio di non essere capite e di rimanere isolate. A differenza del film del 2012, dove le asperità di certe scelte visive servivano a rendere una narrazione effettuata dal "di dentro" e in cui l'occhio della telecamera registrava il mondo con una spiccata predilezione antropologica,"Un appuntamento con la sposa" utilizza un'estetica semplice, in cui tutto inizia e finisce all'interno del campo visivo e dove la ricercata ingenuità di certe sequenze (per esempio quelle che mostrano la protagonista e la collega all'interno del pulmino che le porta a lavoro) e la vivacità dei colori degli interni casalinghi e del locale dove viene organizzata la cerimonia fanno da specchio al romanticismo buffo e un po' naif dell'indomita protagonista. Certo, la progressione della storia, costruita per tappe successive - tante quanti sono gli appuntamenti di Michal con il ragazzo di turno - risulta un po' meccanica ma il registro favolistico scelto dalla Burshtein per la rivisitazione in chiave moderna del mito di cenerentola e del principe azzurro trasforma certe forzature (pensiamo al cantante bello e famoso che a un certo punto si innamora di Michal e si offre di sposarla) in passaggi totalmente in armonia con il particolare contesto della vicenda.
(pubblicata su ondacinema.it)
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