Regia di Rama Burshtein vedi scheda film
La regista sa dosare la suspense, ne rilascia buone dosi lungo il film ma riserva al finale la batteria migliore. Si esce chiedendosi: è sogno o realtà?
Di un film come questo si farebbe bene a bypassare tutti i possibili e spontanei rimandi a commedie del genere wedding comedy che pullulano tra Europa e USA.
Da Bridget Jones a Il mio grosso grasso matrimonio greco i richiami sono moltissimi, ma rischiano di oscurare quello che in filigrana il film vuol trasmettere e ne costituisce il pregio che non l’ha fatto sfigurare nella rassegna Orizzonti a Venezia 2016.
Diversamente, andrebbe archiviato per sempre fra le commedie rosa per una sera d’estate.
Il prodotto è anomalo e il matrimonio è un pretesto per dire molto altro.
Un appuntamento per la sposa non sale ai livelli de La sposa promessa, opera prima con cui Rama Burshtein si era fatta conoscere a Venezia nel 2012, ma come quella è un credibile spaccato sulla comunità chassidica di ebrei ortodossi di cui stavolta interpreta in chiave pop lo spirito profondo.
Burshtein gioca con ironia sui suoi limiti ma riesce anche metterne in luce i valori positivi troppo presto liquidati dalle mode frettolose dei nostri tempi come obsoleti e fuori tempo.
La regista conosce a fondo il suo popolo e pertanto può permettersi una garbata presa in giro dei suoi rituali, dei suoi tic e idiosincrasie e mettere in scena una situazione tanto strampalata da lasciare il dubbio che non si stia facendo sul serio. Nel far questo, però, fa crescere e lievitare qualcosa di più importante che pian piano, sequenza dopo sequenza, fa breccia in chi guarda.
Arrivati al finale, sorprendente solo per chi non è abituato a cogliere quegli indizi che un buon regista semina, resta molto su cui riflettere nella post-visione, momento della verità, quello che dà l’imprimatur del pubblico fuori dalle sale.
Film non facile nella sua apparente leggerezza (una ragazza qualsiasi che cerca marito dovrebbe essere la cosa più banale del mondo) quello che Un appuntamento per la sposa non cerca affatto è il facile processo empatico con il pubblico, e la protagonista incarna alla perfezione questa dimensione dello spirito che appartiene al substrato più profondo della cultura ebraica, soprattutto nel suo versante ortodosso.
Michal (Noa Koler ) non rientra in nessun clichè, è anticonformista ma punta a stabilizzare la sua vita dentro i binari del più assoluto conformismo, un marito che l’ami per sempre, dei figli, un abito bianco e tutto senza mostrare niente di sé che la caratterizzi come individuo autonomo. Non sappiamo che lavoro fa, se ha interessi, pregi e difetti, nulla.
Si direbbe un esemplare da laboratorio di un certo modo di essere donna oggi, messa alla prova in una delle circostanze ancora abbastanza centrali della sua vita sociale, la ricerca di un marito. Perché di questo si parla, non di compagni, unioni di fatto, storie a termine, Michal vuole un marito nella più pura tradizione, vuol ricevere amici in casa per le feste religiose con cui la Torah scandisce la vita del suo popolo, ma non può farlo finchè vive da single e, soprattutto, non vuol più essere compatita perché non ha un uomo vicino.
Certo, vuol anche amare ed essere amata, ma non è la prima istanza, e soprattutto non è l’unica.
Michal è stata lasciata ad un passo dall’altare (stavano decidendo il menù del pranzo di nozze) dal fidanzato con barba e cernecchi in puro stile chassidico per un motivo molto semplice: lui non l’ama più.
Da questo momento assistiamo increduli ad una storia che ha l’aria di essere una parodia, poi arriviamo a chiederci se per caso non sia proprio così che spesso vanno le cose, e non solo nelle comunità ebraico ortodosse.
Naturalmente ogni cultura si esprime con i propri caratteri e Un appuntamento per la sposa è un film israeliano riconoscibilissimo nell’apparato narrativo (tempi lunghi, realismo sconfinante verso momenti surreali, struttura circolare, con ritorno al punto di partenza dopo una lenta costruzione), ambientazione, musiche e spiccata oscillazione fra umorismo e disperazione.
Michal è l’asse portante, la sua ricerca programmatica dell’uomo per la vita non rischia mai di renderla ridicola, e sarebbe molto facile, gli incontri con la sua selezione di candidati sono spesso spassosi, a volte romantici, altre volte crudeli, sempre però credibili, cose che capitano, ci diciamo.
Questa strana trentaduenne che lancia una sfida al destino (da lei identificato con il suo Dio), quella di trovar marito entro 22 giorni, ottavo giorno di Hannukkah, e intanto prenota la sala per duecento invitati, catering e quant’altro, incuriosisce e crea disagio. E’ il suo modo di essere diretta, di far domande quando dare risposte è difficile, è il suo sorriso che spesso si spegne ma poi torna, è quel qualcosa che c’è in lei, caparbiamente, e che non esiste più al mondo, la speranza.
Michal lascia che avvertiamo questa sua necessità come una delle tante necessità della vita, le regole del gioco sono quelle e bisogna starci dentro, con l’aiuto di Dio, magari.
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