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American Anarchist

Regia di Charlie Siskel vedi scheda film

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La recensione su American Anarchist

di EightAndHalf
4 stelle

William Powell è l'autore di The Anarchist Cookbook, un manuale di ricette per armi da fuoco ed esplosivi. Il suo autore alla fine degli anni '60 aveva 19 anni. Charlie Siskel lo ritrova a 65 anni, trasferito in Francia e sposato felicemente da anni, insegnante per ragazzini con difficoltà di apprendimento e/o traumi infantili da affrontare. Ha ripudiato il libro e il suo contenuto, ma ha rinunciato molto più tardi ai diritti d'autore, senza tentare mai di bloccarne la pubblicazione. Il risultato di tutta questa catena di eventi è American Anarchist, una postilla di Bowling a Columbine di cui riprende i difetti più grandi (la tendenziosità del finale con Charlton Heston) e li ipertrofizza involontariamente giustificandoli con una costante autoironia. La lunga intervista all'autore del libro ritrovato nelle mani e nelle case di molti dei giovani killer americani e non dagli anni '80 fino al 2015 si articola nel racconto della vita dello scrittore stesso ripiegando sempre e comunque sulla domanda fondamentale: avverte lo scrittore la responsabilità nei confronti dei tanti morti che avrebbe indirettamente causato?

 

William Powell

American Anarchist (2016): William Powell

 

Dopo una prima parte che cerca l'ironia facile sfruttando la scarsa loquacità del protagonista in risposta ad alcune domande più complicate (e, appunto, tendenziose), la seconda parte verte su questioni più appuntite, che toccano il rimorso e il senso di colpa non riuscendo a vedere il discorso da nessun'altro punto di vista. Non basta lasciare nel montaggio finale le accuse esplicite del protagonista nei confronti di Siskel (accuse inerenti la provocazione gratuita di certe domande), il bambinesco atteggiamento del regista è irriducibile, e dimostra solo furbescamente il rispetto per il protagonista (con l'epigrafe finale), mantenendo dunque un tono politically correct incredibilmente incoerente e fasullo. Chi comunque non vedesse l'evidente semi-bullismo dell'intervistatore - che fa molto il santarellino ma poi lascia aperte questioni che dimostrerebbero una certa colpevolezza in Powell - non può negare l'incredibile ripetitività di un documentario che, apparte il formato televisivo, tergiversa senza costrutto sulla solita fuffa, implicando dilemmi morali già risolti (ridondante discutere sempre della sola responsabilità autoriale di un libro scritto in preda alla rabbia, ma pubblicato da molti altri con ben più rivoltante calcolo) e affondando inutili coltelli nelle piaghe, con patetismi assortiti. 

 

Da dimenticare; presentato fuori concorso a Venezia 73.

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