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I Called Him Morgan

Regia di Kasper Collin vedi scheda film

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La recensione su I Called Him Morgan

di EightAndHalf
5 stelle

Le note di Lee Morgan aprono un film che già dalle prime immagini sa di morte. La neve che cade sulla cinepresa sembra quasi cenere sparsa su un antico ricordo. E' il film sul celebre trombettista jazz, morto ucciso dalla moglie Helen in un locale, subito prima di un'esibizione, nel 1972. Il documentario racconta un lungo pezzo delle vite di Lee e di Helen senza dare più importanza all'una o all'altra storia: esse procedono parallele fino al fatidico incontro negli anni '60. Lee era finito nel baratro della droga, ed Helen, più grande di lui e già con due figli (abbandonati) avuti rispettivamente a 13 e 14 anni, era riuscita a risollevarlo, e a riportarlo ad essere umano. Il documentario di Kaspar Collin si snoda così su due vie prima parallele e poi coincidenti mettendo in scena il solito repertorio dei film-omaggio: interviste, fotografie (bellissime), racconti, voci registrate, pagine di giornale. Non si può dire certo che I Called Him Morgan sia interessato a trovare idee innovative sul versante visivo. Ma mantiene l'attenzione alta, raccontando delle difficoltà dei suoi protagonisti, e anche delle sparute rimembranze di un mondo quasi del tutto scomparso. L'operazione si dibatte dunque fra operazione-nostalgia e resoconto biografico-aneddotico, di sufficiente interesse anche per chi del musicista sapeva poco o nulla. Nonostante questo semplice assunto, il film riesce a non essere qualunquista. Pur non parlando di musica nel vero senso della parola, riesce a farne intravedere (sentire, in effetti) il fascino e la bellezza, il calore e la vivacità, regalando pezzi di bravura tecnica e artistica (di Lee Morgan) assolutamente irresistibili.

 

 

 

Il film è in fondo la storia di un uomo semplice, conscio del suo talento, e debole sul versante umano. Ed è anche la storia di una donna, che con un gesto efferato è entrata di diritto nella storia del jazz, anche se per indirette vie. Com'è inevitabile, di Lee Morgan viene fuori sì un ritratto fedele, ma filtrato dai racconti di amici e musicisti, sempre attenti a non sbilanciare mai l'ago della bilancia né sul versante eroicistico né su quello vittimistico. Lee Morgan era imperfetto. Fortunatamente, come si diceva poc'anzi, il film riesce a far sentire diverse esibizioni del trombettista, ed sono anche quelle che ci fanno conoscere una figura leggendaria. Esito insomma differente e, per forza di cosa, più piacevole, rispetto a un documentario seppur simile come il Salinger di Shane Salerno: se nel caso di Salinger c'era quasi la mania voyeur di scoprire cosa facesse nella sua misteriosa vita privata lo scrittore statunitense, qui la vita di Lee Morgan è intrisa della sua musica, e la sua musica della sua vita. Questo binomio indissolubile comunque non supera la soglia dell'interesse, e rimane a soddisfare le curiosità dei pochi (appassionati e non) che si imbatteranno in questo film, presentato fuori concorso a Venezia 73. Ben poca cosa, per rimanere sul versante documentari, di quel What Happened, Miss Simone? di Liz Garbus candidato all'Oscar quest'anno che parrebbe avere un formato analogo, ma si distacca da questo film per innumerevoli ragioni.

 

 

Il meglio sta comunque nei filmati realizzati direttamente da Kaspar Collin nei luoghi frequentati un tempo da Lee ed Helen: le strade innevate della loro città, rallentate e filtrate dall'effetto reel (da cine-diario), dànno tutt'un altro sapore - malinconico - a un film che rischia su più punti di essere meramente illustrativo.

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