Regia di Sergei Loznitsa vedi scheda film
Gardaland, Venezia, Auschwitz e il centro commerciale più vicino a voi: trovate l'intruso. Auschwitz? Senz'altro, ma solo come luogo altro, non per le persone che lo popolano, lo visitano, lo percorrono. Quelle, per il regista bielorusso, sono tutte uguali, uniformate, spaventose. Un documentario potentissimo, drammatico, difficile, che tramite una serie di inquadrature fisse, in bianco e nero, ci mostra semplicemente la gente che sciama dentro e fuori Auschwitz e i campi di concentramento nazisti. Un via vai nauseante, fra cellulari che squillano, magliette inappropriate, fotografie a raffica, specialmente dei particolari più scabrosi e orribili, e selfie disgustosi, appena sotto la scritta "Arbeit Macht Frei", davanti ai forni crematori, nelle viscere di un luogo che dovrebbe essere laicamente santo, sacro. La folla umana che passa senza sosta, fra comitive con guide che raccontano meccanicamente gli eventi, intervallando le parole alla pausa gabinetto o panino, il singolo impegnato in chissà quali altri pensieri, l'idiota che si fa fotografare in posa sul palo dove i prigionieri venivano uccisi. Il turismo del dolore nella sua essenza più cupa, un fracasso di corpi da vacanza, in cui tutto il dolore, tutta la Storia, si sperde in un meccanismo che stritola ogni cosa. Un documentario a suo modo agghiacciante, con le inquadrature mai per caso. Nessuna voce off, se non quella di qualche guida, e la grancassa dei rumori della (presunta) civiltà (risate, suonerie, bambini che strillano): tutto qui, non serve altro. Un lavoro stilisticamente impegnativo, visto che ogni tanto le inquadrature fisse durano davvero a lungo, forse troppo, ma dai contenuti profondamente significativi. Non per tutti.
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