Regia di Sergei Loznitsa vedi scheda film
Lo sguardo in camera. Il centro, forse, dell'ultimo cinema di Loznitsa, certo il perno nodale di Sobytie (2015) e Austerlitz. Quest'ultimo, vagamente ispirato all'omonimo romanzo di Sebald, si costruisce su una successione di freddissimi pianisequenza immobili e in bianco e nero, quasi come in un Lav Diaz. Il percorso è razionale e preciso, Loznitsa si sposta dall'ingresso del campo di concentramento di Sachsenhausen fino ai vari ambienti, esterni e interni, e al settore Z, dove veniva dato inizio al percorso verso la soluzione finale, lo sterminio degli ebrei. Il film, con intenti quasi seidliani, mette in luce l'enorme contraddizione di un luogo di morte diventato meta turistica quasi di intrattenimento per bande di visitatori fameliche di foto, selfie (con la scritta Arbeit macht frei sul cancello di ingresso) e allegria. Vanno in massa famiglie, scolaresche, gruppi di amici, e lo fanno quasi sempre con una leggerezza e una tranquillità che sembra escluderli definitivamente dalla possibilità dell'empatia.
Austerlitz (2016): scena
Oltre alla chiara capacità visiva di Loznitsa, che sceglie sempre scorci apparentemente casuali, in realtà efficaci e calzanti (il finale sembra quasi una parodia agghiacciante dell'Uscita dalle fabbriche Lumière), ad essere importante in Austerlitz è l'indagine della coscienza storica dell'individuo contemporaneo. La regia attonita del cineasta ucraino, che contempla i visitatori del campo un po' come Wiseman osservava i turisti della National Gallery, benché con intento ben più nichilistico, o sicuramente meno partecipe, spesso si fonda essenzialmente sugli sguardi che tutti quanti i visitatori, curiosi, rivolgono alla macchina da presa. Non c'è l'intento di un ambiguo coinvolgimento dello spettatore, quanto più una voglia di confrontarsi direttamente con l'ignoranza e la latenza di responsabilità di nuove e vecchie generazioni. Chiariamo subito che non c'è critica negli occhi di Loznitsa come non ce n'è normalmente negli occhi di Seidl nei suoi documentari, ma il primo pensiero è quello di risate a denti stretti quando la guida racconta delle camere a gas intermediando sempre i suoi discorsi con indicazioni sulle pause pranzo del gruppo, e con uscite inopportunamente ironiche.
Austerlitz (2016): scena
E' anche interessante il lavoro sul sonoro: non c'è una presa diretta, ma Loznitsa spesso sposta il microfono in fase di ripresa, o lo dispone strategicamente nelle vicinanze di una guida turistica, di modo che sentiamo la rielaborazione per turisti (con relativi indovinelli e amenità) degli eventi storici che hanno accompagnato la realizzazione del campo a Sachsenhausen. Anche la sequenza dell'out of focus nel corridoio del campo è efficace nel redarguire lo spettatore sul prestare attenzione a tutti i piani dell'immagine, per avere un quadro più globale possibile.
Si esce da Austerlitz con un triste senso di spossatezza, non allegerito da un'impianto formale forse un po' eccessivo e poco ficcante, ma ostinatamente rigoroso, fin quasi all'inutile immobilità parossistica.
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Ciao EightANdHalf, sono d'accordo con la tua recensione e in questo senso mi chiedevo: dov'è, secondo te, il confine tra giustificato e non necessario?Voglio dire, qui abbiamo un film concettuale, molto teorico, sia a livello formale che a livello contenutistico; basta questo a giustificare un'ora e mezza di inquadrature fisse? Pur riconoscendone la validità contenutistica e tecnica, non mi sento di ritenerlo realmente necessario.
Forse è un discorso futile e già affrontato ma.. avevo bisogno di scrivere qualcosa dopo averlo visto! Ciao
Sicuramente il fattore tempo è fondamentale in un'opera del genere, o almeno Loznitsa che un po' di esperienza ce l'ha non credo non ne abbia tenuto conto. La lunghezza è piuttosto spossante, sono d'accordo con te, però in qualche modo mi è sembrata coerente con un discorso spossante come quello portato avanti.. penso che il confine fra giustificato e non necessario stia nella volontà da parte del regista di fare del suo film esperienza, e credo che Loznitsa quest'intento ce l'avesse davvero, nel bene e nel male!
In ogni caso la "pesantezza" è stata compensata dall'attenzione per la perizia tecnica, che non è mai tecnicismo ma mi è sembrata proprio la cosa che colmasse di significato le inquadrature.
Ciao!
Si, è vero che la tecnica ha riempito le lunghe inquadrature. E penso anch'io che regista avesse quell'intento. Forse è uno di quei lavori che a caldo stancano ma ricordandoli.. Grazie per la risposta, ciao!
Un'esperienza visiva fondamentale, un monito che dovrebbe servire anche per meglio realizzare la 'fine' che stiamo facendo. Da vedere e rivedere.
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