Regia di Lav Diaz vedi scheda film
Ennesima cine-sfida di Lav Diaz, un film che interroga e si interroga. Su cosa? Sul senso stesso della Settima Arte, sul suo scopo e la sua missione (e nel farlo, contemporaneamente e inevitabilmente, pone l’arduo quesito anche a noi spettatori): essere intrattenimento con un cuore e un’anima o una riproduzione del reale scalfita dall’invisibile spettro dell’artificio? Essere racconto o essere vita (tempi morti inclusi)? Forse Lav Diaz tenta di conciliare le due antitetiche ambizioni, cercando di dimostrare che così antitetiche, poi, in fondo non lo sono. Perché anche “The Woman Who Left” è un racconto, è una storia di vendetta, è un percorso umano (e storico, e sociale e tante – troppe? – altre cose) in divenire.
Libero e straziante, acclamato dovunque, “The Woman Who Left” porta i propri assunti alle estreme conseguenze (come del resto tutti i film del regista), in 3 ore e 40 minuti immobili, immersi nei sobborghi, nei luoghi bui e marginali, nel crudo dolore e nell’opprimente frustrazione. La macchina da presa non si muove, la realtà inquadrata fa lo stesso: l’elegia della stasi.
Per tutti i motivi fin qui tirati in ballo, quello di Lav Diaz è però anche un cinema col quale è legittimo non trovarsi d’accordo (o, se preferite, in sintonia), senza che una tale presa di posizione debba essere considerata pigrizia o superficialità intellettuali.
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