Regia di John Glen vedi scheda film
Bond viene incaricato di indagare su un traffico di gioielli falsi che partendo dalla Russia arrivano fino in India, ma soprattutto portano a qualcosa di decisamente più grosso. Dietro tutta l’operazione c’è il magnate afgano Kamal Khan, che sfrutta la complicità di una proprietaria di circo, Octopussy.
13° film della serie, penultimo per Roger Moore, secondo dei cinque firmati da John Glen. Come nel precedente “Solo per i tuoi occhi”, la guerra fredda ha il suo valore, tanto che i cattivi di turno sono ancora quelli del blocco comunista: i cubani prima, i russi poi, con la complicità di quelli della Germania dell’Est.
Sequenze spettacolari, specie negli inseguimenti, e freddure ad effetto figlie di un umorismo ormai impianta stabile nella serie (che per la troppa frequenza si rivelano stucchevoli). Moore regge il personaggio a stento: imbolsito com’è gli è addirittura necessario talvolta una controfigura nei (rari) corpo a corpo. Sistematica, e come potrebbe essere altrimenti, lo stunt per le scene pericolose: peccato che la controfigura sia clamorosamente più bionda e coi capelli visibilmente più lunghi: un blooper inaccettabile a questo livello.
Uno dei più anonimi Bond di sempre, colpa di un cattivo che non incide, di una colonna sonora insolitamente senza nerbo e della sceneggiatura, che reitera la formula dei tanti sotterfugi a scapito dei cazzotti. Del film rimangono le immagini del luciferino Kabir Bedi, nel ruolo dell’assistente di Kamal Khan, il record per Maud Adams di ritornare a fare la Bond-girl (stavolta in maniera certificata, dopo il quasi cameo di “Agente 007. L’uomo dalla pistola d’oro”) ed il fatto che un inseguimento in auto Bond lo faccia a bordo di un’Alfa Romeo.
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