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La mia vita con John F. Donovan

Regia di Xavier Dolan vedi scheda film

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La recensione su La mia vita con John F. Donovan

di laulilla
6 stelle

Un’opera travagliata e di difficile costruzione, solo parzialmente riuscita e a rischio, più accentuato del solito, di trasformare l’analisi sottile dei sentimenti contraddittori e irrisolti dei protagonisti in feuilleton, anche se Xavier Dolan è riuscito ancora una volta a darci, sia pure a frammenti, momenti di grande cinema mélo.

 

Di sicuro interesse cinefilo è quest’ultima fatica del regista canadese del Quebec, che ha prodotto, scritto e diretto questa pellicola avvalendosi di un cast eccezionalmente prestigioso, quasi a sottolineare l’importanza che egli intendeva attribuire al suo primo film in lingua inglese.
La sua realizzazione era stata molto difficile e tormentata, tanto che solo al festival di Toronto del 2018 il film aveva potuto essere presentato, dopo essere stato atteso vanamente a Cannes e a Venezia, per le difficoltà che si erano presentate al regista in sede di montaggio, durante il quale egli ne aveva eliminato, con grande sofferenza, una parte cospicua, riducendolo a poco più di due ore dalle quattro iniziali, ciò che lo aveva costretto a tagliare via del tutto il personaggio non secondario dell’attrice Jessica Chastain, che, contrariamente a ciò che molti si aspettavano, aveva reagito con signorile e affettuosa comprensione, manifestando nei confronti di Dolan la propria immutata stima:
…non preoccupatevi, sono stata informata in anticipo … questa [situazione] è stata gestita con il massimo del rispetto e dell’amore...

aveva dichiarato ai giornalisti.

 

 

Dolan ricostruisce la vita del piccolo Rupert Turner (Jacob Tremblay), un ragazzino che dai sei agli undici anni è seguito con attenta partecipazione e con profondo amore, non disgiunto da severità, dalla madre Sam (Natalie Portman), abbandonata dal marito, e che insieme a un’ insegnante della scuola primaria, asseconda l’immaginazione del figlioletto. La giovane docente, poi, è così  impressionata dal suo talento precoce per la scrittura creativa, da decidere di dedicare qualche ora del proprio tempo a lui, al termine delle lezioni, per aiutarlo ad affermarsi.
Il piccolo Rupert vorrebbe diventare un attore: il suo modello è John F. Donovan (Kit Harington), uomo di spettacolo non giovanissimo, intrattenitore e attore in una serie TV per ragazzi.
Rupert lo vede esibirsi sul piccolo schermo di casa, circondato da strani effetti speciali, che ai suoi occhi incantati appaiono frutto delle sue straordinarie abilità: sviluppa perciò una così sconfinata ammirazione da stabilire con lui, via e.mail, un fitto dialogo, che diventa sempre più simile a un’ossessione irrinunciabile.
Sarà lo stesso Rupert, dieci anni dopo, poco più che ventenne (l’attore è ora Ben Schnetzer), a ricostruire in un romanzo (in cui, per definizione, l’invenzione è predominante, ma non per questo è meno “vera”) quel rapporto, grazie alle missive fortunosamente ricuperate, e a pubblicare la storia di un amore omosessuale rimasto nel limbo dei sogni e dei desideri irrealizzabili, anche per l’improvvisa morte di John, stanco, depresso ed emarginato nel suo ambiente sociale e familiare (la bravissima Susan Sharandon interpreta la parte di una madre stolta e inadeguata) e costretto ad assumere dosi sempre più elevate di psicofarmaci per continuare a esibirsi pubblicamente.

 

Il racconto è triste e malinconico, condotto come uno strano gioco di specchi, poiché i due protagonisti, pur lontani, e molto diversi per età (la cui differenza nel nel romanzo viene un po' accorciata, per renderla più accettabile) si riconoscono nella propria solitaria emarginazione. Il film è inoltre una lunga riflessione sull’inadeguatezza della società e della famiglia, dolorose fonti di incomprensione e di insincerità, che accrescono la sofferenza di chi non può essere se stesso.

Importante il ruolo della musica che sottolinea, talvolta un po’ enfaticamente, la narrazione che alterna momenti delicati e teneri a momenti di cupa disperazione.

Anche se un po’ velleitario e sotto-tono, il lavoro del regista, attento all’equilibrio emotivo, sospeso fra strazio e dolcezza è sempre molto riconoscibile.

 

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Ultimi commenti

  1. Utente rimosso (bufera)
    di Utente rimosso (bufera)

    Bellissima recensione come al solito.Io amo il cinema di Dolan con tutte le sue esagerazioni e imperfezioni e ho visto tutti i suoi film.Sono rimasta fuori da questo a da un altro di cui non mi sovviene il titolo. Ora sarà di fficile che li acciuffi l'uno perché posso andare in sala in questo periodo,l'altro perchè non mi sembra ancora distribuito..Ti sembra che si stia un po' spegnendo?Ciao:))

    1. laulilla
      di laulilla

      Grazie, Anna Maria. Anch'io ho visto tutto Dolan, ma proprio tutto, rigorosamente nel suo francese quebecois, senza sottotitoli, essendomelo portato a casa in cofanetto da Parigi quando ancora in Italia non si conosceva affatto, se non per Mommy. Ora stiamo tutti aspettando quello uscito quest'anno a Cannes, ovvero Matthias et Maxime, di cui ho letto soprattutto molto bene. Non credo che l'enfant prodige si stia spegnendo: credo invece che questo film sia stato pensato un po' velleitariamente, ma che non meriti le feroci stroncature di cui è stato fatto oggetto. Ciao cara!

    2. Utente rimosso (bufera)
      di Utente rimosso (bufera)

      Pensa che anch'ìo ho il primp cofanetto che uscì tutto in quebecois senza sottotitoli che talmente mi coinvlge da capirlo perfettamente,Non accetterei mai una versione doppiata. e ti dirò che è proprio con i suoi attori canadesi che m iha entusiasimato di più. Infatti Just la fin du monde
      mi ha convinto un po' meno.Deve essere se stesso, quello che scrive, recita dirige e monta tutto da sè... ricordo l'emozione che mi provocò un suo lungo discorso intenso quasi esaltato che fece a Cannes....Ciao lilli e grazie!

    3. laulilla
      di laulilla

      Grazie a te, Anna Maria! La sua scommessa è di riuscire a essere se stesso anche sperimentando e provando altre strade,a costo di sbagliare, riprovare e ...tagliare, come è successo con questo film. È ancora giovane e, secondo me, ha ragione. Il quebecois, come sai anche tu, ha un grande fascino, ma forse anche lanciarsi in qualche avventura fuori confine può diventare altrettanto affascinante. Vedremo....Ciao, carissima.

  2. DavideKingInk80
    di DavideKingInk80

    Tranne 'Les amours imaginaires', conosco tutti i film di Dolan e devo dire che a me è piaciuto e convinto pure questo... Ritengo che 'Lawrence anyways', al momento, rimanga nettamente il suo capolavoro, ma tendo a collocare quest'ultimo film più o meno alla medesima altezza degli altri suoi film, da 'J'ai tuè ma mère' fino a 'È solo la fine del mondo'... È un cinema, quello del giovane talento canadese, che trovo assai valido e stimolante pur con tutta la debordante, qua e là ingenua, urgenza espressiva che, inevitabilmente - considerando l'anagrafe - si trascina (ancora) dietro... Ciao!!

    1. laulilla
      di laulilla

      Les amours immaginaires, per quanto mi riguarda, è un film molto elegante e raffinato, ma un po' troppo estetizzante. L'ho visto e recensito sul blog, qualche anno fa, ma forse dovrei rivederlo per verificare il mio giudizio di allora. Anche per me, a tutt'oggi, Laurence Anyways è quello meglio riuscito. Anche kla recensione di questo è sul mio blog. Grazie del passaggio e auguri per le prossime festività, Davide.

    2. DavideKingInk80
      di DavideKingInk80

      Ti ringrazio, auguri di buone feste anche te!

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