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Spira Mirabilis

Regia di Martina Parenti, Massimo D'Anolfi vedi scheda film

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La recensione su Spira Mirabilis

di EightAndHalf
9 stelle

Il senso evolvente.

 

Ha tutto inizio con la creazione. L'immagine buia nasconde qualcosa, sotto la coltre della superficie; dei segni, delle luci. La Pietra colpisce il blocco di marmo terrestre e crea le cose, porta l'immagine. A crearla non è qualcuno, ma è la Pietra, il mezzo, l'atto (e non il fatto). Intanto la sala buia si riempie della luce di alcuni fulmini primordiali, e i nervi ottici cominciano a fare lo sporco lavoro di mandare gli stimoli al cervello. Lo spettatore è piccolissimo ed inerte, ancora non possiamo fare nulla. Potremo poco dopo, quando cominciamo a imboccare la spirale.

Spira Mirabilis è un film grandioso perché è un film potenziale. Un non-finito michelangiolesco.

 

scena

Spira Mirabilis (2016): scena

 

D'Anolfi e Parenti pescano a piene mani dagli altri cantori del destino del Cinema contemporaneo: si avvertono gli echi stordenti di Kommunisten di Jean-Marie Straub, degli esperimenti di Gianikian e Ricci Lucchi, delle epiche disperazioni delle elegie sokuroviane. Ma ci sono anche i loop di canecapovolto, l'asincronia dell'ultimo Godard, i drammi (micro)cosmici di Malick, le decadenze estatiche di Reygadas. Forse si può ascrivere Spira Mirabilis a una costruzione allegorica, ma la struttura semantica specifica, che collega le cose (che vediamo) ai pensieri a posteriori, ha un'importanza relativa. Forzarci a guardare Spira Mirabilis senza allontanarci dalle immagini di Spira Mirabilis ci aiuterà a capire che non ci sono ragionamenti a posteriori, non ci sono per forza "sovra-interpretazioni". Ma solo conclusioni immanenti. Percezioni che la comprensione razionale può solo arricchire, ma che, prestando fiducia al film, possono spontaneamente cominciare a respirare, anche solo osservando.

Spira Mirabilis, come i capolavori sovra-citati, concettualizza (e concretizza!) l'atto percettivo.

 

scena

Spira Mirabilis (2016): scena

 

Il nuovo film di D'Anolfi e Parenti è costruito a spirale, potremmo dire, griffithiana. I quattro "episodi" (le virgolette sono infinite), diciamo pure i quattro "spezzoni", non sono semplicemente combinati fra di loro, ma vanno collimando, cercano un vertice. Come una spirale che non si sviluppa in due sole dimensioni, ma anche in una terza, in quanto ambisce a raggiungere il vertice del cono su cui si appoggia. Il film, che percorre i binari della spirale, è l'evolvente del cono, e costruisce il suo senso in itinere, così come le cose della vita.

Fermarsi a dire che i quattro spezzoni del film riguardano i quattro elementi (Acqua, Fuoco, Aria, Terra) più il quinto (l'Etere) sarebbe verissimo ma limitativo, quasi un contentino, che non può che frustrare lo spettatore delle cose ferme. Ma il Cinema è continuo cinematismo, e la coppia di registi sa che questi quattro elementi non possono stare al loro posto, separati. Devono unirsi. E camminano parallelamente sempre più vicini fino a raggiungere il vertice del cono. La spirale logaritmica che dà il nome al titolo del film vede le proprie linee avvicinarsi sempre più a un punto specifico, senza mai incontrarsi. Ma in quest'atto di messa in discussione continua del senso, il film, in prossimità del finale, potrà contraddirsi, ed esplodere nell'Etere.

Spira Mirabilis richiede un atto di fiducia incondizionata che può fare paura.

 

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Spira Mirabilis (2016): scena

 

La parte dell'Acqua parla di immortalità, di un continuo contrasto micro/macro. Racconta delle ricerche di uno scienziato orientale che avrebbe scoperto il ciclo vitale rigenerativo e inesauribile di una specie di medusa. 

La parte della Terra parla del Duomo di Milano e delle sue statue, sineddoche continua di un intero mondo che si plasma e si trasforma sul modello eracliteo. Le statue impongono il loro stare al mondo sul cielo terso.

La parte dell'Aria parla del cuore che batte nelle cose, tramite gli strumenti di Rohner e Scharer. I loro doppi tamburi sono continuamente deformati, appiattiti, modificati, con la stessa perizia dei corniciai del National Gallery di Wiseman, con la stessa precisione con cui il film percorre la spirale griffithiana.

La parte del Fuoco parla degli indiani d'America e del mito della frontiera. E' qui che le trasformazioni debordano e invadono lo spazio filmico, modificandolo come i tamburi suddetti, facendolo risuonare, e vibrare: si alternano i formati, e immagini originali alternano filmati di repertorio.

La parte dell'Etere  racconta l'Immortale di Borges con la voce di Marina Vlady come qualcosa che fa da sostrato comune, il punto di partenza e in comune. La voce della Vlady sembra quella del rito sciamanico iniziale, ha la soavità del rimbombo dei tamburi, ha l'imponenza delle statue del Duomo, ha l'inesorabilità del ballo delle meduse. L'Etere, il viatico con cui Spira Mirabilis arriva ai nostri occhi e alle nostre orecchie, ci circonda ed è dappertutto.

Spira Mirabilis è un documentario sulle cose che esistono e si trasformano.

 

scena

Spira Mirabilis (2016): scena

 

"La vita non è armonica, la vita è un gioco". La maneggiamo, giocherelliamo con lei, la rigiriamo da tutti i lati. Consegniamo all'Essere qualcosa di nuovo quando la creiamo, quando facciamo Arte. E l'Arte è innanzitutto téchne, atto, azione, movimento, ciò che sta fra le cose, fra l'inizio e la fine. Da qui il riferimento continuo, in Spira Mirabilis, alle lavorazioni tecniche, al restauro del Duomo, alle opere manifatturiere dell'uomo. L'Arte sta nella sinestesia partorita dal gesto artistico: quella polvere che dai tamburi battuti si solleva e si riappiattisce, diventa liquida, se non addirittura sabbiolina, e cade nel buco centrale. 

In Spira Mirabilis il Tempo non esiste, è creta. Un eterno ritorno curvilineo, non circolare, ma a raggio variabile, prossimo all'implosione. 

 

scena

Spira Mirabilis (2016): scena

 

Esistono pro e contro in questa creazione, in questo intervento dell'uomo sulle cose. L'episodio del Fuoco rende chiaro questo, tramite l'evidente metafora dell'occupazione delle terre degli indiani d'America. Alle preghiere sussurrate di uno sciamano si alternano filmati amatoriali in quello stile mekasiano dell'home movie, che poi è discendente diretto delle teorie di Astruc sulla caméra-stylo (la scena della bambina e delle oche, puro Jonas Mekas, è una delle più toccanti e divertenti del film). Il che concede ai due registi di "giocare" col formato, simulandolo con i contorni degli infissi di una finestra.

Ma non è solo l'Avanguardia ad essere presa in ballo, in Spira Mirabilis. C'è anche l'animazione, l'antitetico contrasto luce-ombra dei cartoni degli inizi: le meduse che ballano non sono altro che nuovi principi Achmed.

 

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Spira Mirabilis (2016): scena

 

(da Le avventure del principe Achmed, 1926)

 

E si potrebbe andare all'infinito nell'esplorazione delle citazioni, più o meno dissimulate, di cui è innervata la pellicola: la Storia del Cinema ha un nuovo sbocco per diventare quel magma di cose che è il creato, e che è l'Arte. 

Ma a commuovere, dell'intera operazione di D'Anolfi e Parenti, non è solo il versante montaggio/montaggio sonoro (incredibile, un concerto di distonie e rumori, come una sincopata opera di industrial rock, un aspetto che rende pretestuoso qualsiasi riferimento al ripescaggio dall'Infinita fabbrica del Duomo), ma anche l'incontro delle dimensioni, evocato fatalmente dalle continue dissolvenze. Poco prima dell'epilogo del film, quando lo scienziato giapponese decide di presentare le sue ricerche alla comunità scientifica (e crea in diretta il suo discorso traducendo frasi sempre più complesse dal giapponese all'inglese), e si mette a cantare una canzone a cappella di fronte a tutti, tutte le altre immagini del film si accavallano, e l'occhio si perde in un turbinio di puro splendore. Un momento da brividi, il vertice del cono, il punto che la spirale logaritmica non raggiunge mai. 

 

scena

Spira Mirabilis (2016): scena

 

Non siamo ancora pronti a film del genere. Accolto sia con assensi che dissensi a Venezia 73, è un esperimento di straordinario carisma, che scuote il Cinema boccheggiante come un defibrillatore. 

 

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