Regia di M. Night Shyamalan vedi scheda film
M. Night Shyamalan è quindi tornato?
Forse, in realtà, non se ne era mai andato e, dopo il successo dei suoi primi lavori e la successiva (e disastrosa) "promozione" ai blockbuster ad altissimo badget, quasi un pedaggio da pagare al'industria hollywoodiana, come L’ultimo dominatore dell’aria o After Earth (probabilmente da regista il suo punto più basso), è stato sufficiente tornare a quello che sa fare bene, ovvero un thriller psicologico con elementi soprannaturali a basso badget e con colpo di scena finale, per ritrovare, anticipato in parte dal successo del precedente The Visit, molti di quegli elementi che in passato ne hanno decretato il succeso.
Split è un film programmatico sin dal titolo (diviso) in quanto il film del regista indiano è, come molti dei suoi lavori migliori, anche un lavoro elaborato su più generi cinematografici, cambiandone spesso il registro e intervellandone toni differenti, ora inquietanti o orrorifici, ora più grotteschi o fumettistici, in un frazionamento che non è soltanto formale ma anche narrativo.
Tre infatti sono le ragazze segregate da Kevin come tre sono le personalità dominanti del protagonista (in rappresentanza del'anima femminile, di quella maschile e del "fanciullo" dentro ognuno di noi e del loro tentativo di unirsi per creare il super-io, ovvero nel film "la bestia", l'essere in grado di trovare un qualche equilibriti fra tutte le 23 personalità di Kevin) e triplice è lo sviluppo delle storia raccontata (le tre ragazze sequestrate, il rapporto del protagonista con la psichiatra, il passato di Casey) per poi convergere nel finale dando senso e continuità ad ognuna di loro.
A fronte di una sceneggiature semplificata, anche didascalica, specie nella prima parte, e non priva anche di un certo compiacimento, Split è a suo modo un horror sui generis, spoglio cioè di molti di quegli eccessi visivi tipici del genere (ma di cui il regista non ha mai fatto particolarmente uso), un horror "colto" in quanto funziona soprattutto a un livello concettuale, o semplicemente di forma, in quanto sfrutta tale genere come punto d'incontro tra generi diversi, mescolandoli e trasformandoli, e sta qui la competenza del regista di filtrarli tutti, sfruttandone sì i mecchanismi ma senza che questi ne appesantiscano la storia, e riuscendo a conservare un senso di credibilità o realismo anche di fronte alle situazioni più assurde.
La regia di Shyamalan segue i suoi protagonisti da vicino, utilizzando spesso primi (e primissimi) piani che, da un lato, rendono ancora più soffocanti gli spazi angusti della loro prigione e, dall'altra, cercano di scavare nella loro condizione emotiva permettendo a James McAvoy di mostare la sua eccezionale bravura nel rappresentare le differenti personalità del suo personaggio, senza trucchi od effetti speciali, mutuandone soltanto la voce, gli indumenti oppure gli atteggiamenti o piccoli particolari fisici, in una strabiliante metamorfosi autoriale.
Molto buona anche la prova della giovane Anya Taylor-Joy, che la pellicola ha lanciato nel mondo cinematografico.
Divertito e riuscito poi il colpo di scena finale che, ribaltandone certi presupposti, ci obbliga a rileggere il film sotto una luce diverso e dare un peso del tutto differente ad alcuni dettagli della pellicola stessa, a iniziare addirittura dal "rivelatorio" poster promozionale
PTT: 7,5
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