Regia di M. Night Shyamalan vedi scheda film
Un ottimo thriller psicologico asciutto e disturbante.
Kevin soffre di un profondo disturbo psicologico. La sua psiche è frantumata in ventitré diverse personalità. E’ seguito dalla Dr.ssa Fletcher (Betty Buckley), psichiatra che tenta di scoprire le potenzialità del soggetto e di proteggerlo dalla personalità dominante, manipolatrice e pericolosa. Il rapimento da parte di Kevin di tre ragazze adolescenti tra cui la protagonista del film, Casey, interpretata dalla stellina nascente Anya Taylor-Joy già vista e apprezzata in The VVitch, fa parte di un rituale psicotico teso a rendere omaggio a una nuova terribile personalità nascente: “La Bestia”.
Split. Diviso.
Le ventitré personalità di Kevin sono riunite sedute su delle sedie, in una stanza al buio. A turno le personalità prendono la luce e si riverberano verso l’esterno modificando fattezze fisiche e psicologiche del protagonista, in attesa della venuta della ventiquattresima personalità, mostruosa e vorace. E’ il racconto del protagonista riguardo allo spettacolare abisso della propria mente.
Split è forse l’opera più teorica e astratta di M. Night Shyamalan fin dai tempi de Il Sesto senso e Unbreakable. Il predestinato, con il quale quest’ultimo si lega. E forse è la sua opera più strettamente cinematografica. Split richiama il taglio, la divisione dello schermo o del montaggio, pezzi di storia che presi singolarmente sono funzionali a loro stessi ma uniti danno un senso compiuto al film. Esiste un discorso profondo sul cinema per cui si avverte uno spazio al di qua della quarta parete, lo schermo, invisibile a noi spettatori e ai personaggi fatti di luce che è abitato dalla troupe, il regista, l’attrezzista e ogni componente della realizzazione nel film. Essi formano l’inconscio dell’opera che lavorando nel profondo porta luce e vita sul telo bianco dello schermo. Ogni arte e mestiere porta il proprio contributo alla riuscita dell’opera, in uno spettro prismatico di luce nel quale si compone la somma conscia di tutte queste parti. Split sembra essere la metafora del procedimento di realizzazione di un film.
Le personalità inconsce di Kevin si alternano risorgendo alla luce del conscio e assecondando le tensioni emotive che il personaggio affronta, si tradiscono e si alleano per uno scopo, l’una all’insaputa delle altre, in un gioco meta cinematografico sorretto solo dalla mimica e dalla puntuale interpretazione di James McAvoy che evita con misura di strabordare nell’overacting.
Shyamalan rinuncia alle chiusure a incastro con risoluzione finale che permeavano i suoi primi lavori e le incertezze narrative di un pugno di film di metà carriera, piuttosto imposta una storia con una regia asciutta, funzionale al racconto e una sceneggiatura chirurgica. Qui la frattura è scoperta, visibile. Quello che inquieta è la fantasticheria invisibile di una psiche impazzita che suscita nello spettatore repulsione e fascinazione allo stesso tempo.
La stessa fascinazione che la psichiatra, la dottoressa Fletcher, vede nella mente del ragazzo. Una mente non compromessa dalla malattia quanto aperta a capacità infinite che le persone normali non possono possedere. Il potere della mente può realmente cambiare lo stato delle cose, alterare la chimica del corpo umano, plasmarne la carne, fino a far esondare il reale nei territori slabbrati del soprannaturale. Il soprannaturale per Shyamalan non è mai stato qualcosa di esterno all’uomo. Piuttosto un riverbero della realtà che con essa si muove in parallelo e che in pochi, dotati di particolare sensibilità, qualcosa che li estranea dal mondo dei normali, possono avvertire.
Split non si ascrive a un solo genere: l’horror, il torture porn, il rape and revenge, il dramma psicologico impastano una storia di violenza e abusi, schegge di follia che producono una loro luce propria, per difesa, per morire al ricordo del dolore e risorgere a nuova vita.
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