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Split

Regia di M. Night Shyamalan vedi scheda film

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Badu D Shinya Lynch

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La recensione su Split

di Badu D Shinya Lynch
8 stelle

Antropologia fumettistica.

 

«L’uomo è un cavo teso tra la bestia e il superuomo, un cavo al di sopra di un abisso. Un passaggio periglioso, un periglioso essere in cammino, un periglioso guardarsi indietro e un periglioso rabbrividire e fermarsi. La grandezza dell’uomo è di essere un ponte e non uno scopo: nell’uomo si può amare che egli sia una transizione e un tramonto.» (Prologo di Zarathustra, 4)

 

E Split risulta essere un ponte tra Unbreakable e Glass.

 

Sulla soglia dell'Immagine.

Opera crepuscolare e potenziale. Cinema in divenire. Shyamalan, in questo caso, piuttosto che utilizzare la potenzialità del cinema, sfrutta quella del suo cinema. Ecco perché Split potrebbe essere definito il film più consapevole ed ammiccante dell'autore di The Village. Forse anche quello più intelligente, subliminale ed ambiguo, che gioca costantemente con lo sguardo dello spettatore e con la sua percezione (meta)cinematografica. Un'opera(zione) seminale, a forza centrifuga. Un pericoloso feto stellare. Shyamalan piega le sbarre dell'Immagine, arcua ed apre l'Immagine e sfida, anzi, invita lo spettatore ad entrare nei sotterranei del suo Cinema. Del suo Cinema in perpetuo divenire. Al di là del bene e del male della superficie filmica. Insomma, Shyamalan chiama il pubblico ad oltrepassare la liminalità dell'Immagine. Perché, sì, Split è anche un film che si muove sulla liminalità di essa. Fino al cortocircuito finale, in cui viene riscritta la credibilità e la potenzialità dell'Immagine e dell'immaginario shyamalaniani. Cortocircuito che, in un certo senso, giustifica l'impianto narrativo e linguistico, ribaltando completamente la prospettiva, come se fosse in realtà un plot twist su un intero genere cinematografico, a larga scala, "extra-filmico". Un plot twist teorico.

 

Anya Taylor-Joy

Split (2017): Anya Taylor-Joy

 

Film-limite. Un lungometraggio oscuro, formidabile, stratificato e proteiforme. Un film che lavora come un muscolo cinematografico, in questa palestra di immagini che si gonfiano e sgonfiano ripetutamente.
Uno spasmo nella soglia del suo stesso Cinema, della sua stessa poetica. E Shyamalan si conferma uno dei registi più interessanti della sua generazione.

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