Regia di M. Night Shyamalan vedi scheda film
Il fascino di sondare le derive della psiche in capo a persone affette da disturbi della personalità, ci catapulta, nel riuscito film di M. Night Shyamalan, tra i corridoi angusti e labirintici entro cui si sviluppano e cercano di avere la meglio sulle altre,vite parallele in cerca di definizione e soddisfazione. Con un grande McAvoy moltiplicato.
"Noi siamo quello che crediamo di essere".
Kevin ha imparato a sue spese la lezione, e nei rari momenti di lucidità, nei pochi istanti in cui riesce a tornare in possesso della propria personalità originale, cerca aiuto e conforto nella psocologa che più di ogni altro medico hs dedicato ls sua esperienza professionale e di vita nella cura dei pazienti affetti da tali disturbi di personalità.
Ma la malattia è subdola e si sfaccetta ogni volta in ulteriori prepotenti personalità che spingono e si fanno avanti per caratterizzarsi e ritagliarsi un posto preminente nella affollata vita del ragazzo.
Che arriva a doversi districare, più o meno bene, se consideriamo ironicamente l'accezione legata alla situazione, con ben 23 differenti personalità, che variano nel carattere, certamente, ma pure in qualche modo nei connotati fisici e persino nel sesso.
Il giiorno in cui Kevin rapisce nei pressi di un centro commerciale tre studentesse, a vario modo legate una all'altra, ecco che tutto si complica, e non solo per le tre vittime, ritrovatesi, dopo essre state narcotizzate, all'interno di un labirintico scantinato, in attesa di andare incontro ad una sorte che, sembra evidente presagire da parte delle giovani vittime, non riserva alcun appiglio di positività ed ottimismo.
Torna il regista talentuoso e visionario , seppur spesso a corrente alternata, M Night Shyamalan, e la circostanza non può che rivelarsi appetibile e irrinunciabile, soprattutto dopo che la sua penultima fatica, The visit, un horror a basso costo su una delle più classiche fra le agghiaccianti leggende metropolitane sullo scambio di identità, ci aveva restituito un cineasta non proprio al suo apice, ma rincigorito e come rinato dopo avventure sbagliate e film su commissione dovute più ai capricci di qualche star che ad una ispirazione personale.
E Split, che già dal titolo preannuncia una divisione, una sfaccettatura che si coltiva all'interno e nei recessi di una mente geniale ma pure incontrollata ed altamente instabile, è decisamente un ritorno interessante, incalzante, a vantaggio di un thriller della mente che sonda territori "depalmiani" che avrebbero esaltato l'insuperato maestro di cinema italoamericano già negli ormai lontani anni '70, già fertili testimoni di sdoppiamenti di personalità con menti malati che soggiogano e vessano la parte debole che si trova dentro ognuno di noi.
Shyamalan si sofferma su particolari in grado di sviluppare nello spettatore quel senso di incognita che solo lui riesce, specie se ispirato, come in questo caso, a rendere attanaglianti: già solo l'agguato al supermercato nella scena iniziale è una lezione di suspence, attorno ad una vicenda che sceglie deliberatamente di escludere i grandi spazi e limitarsi al ristretto e malato percorso di un cunicolo che diventa una trappola mortale, in attesa della bestia, ovvero della ventiquattresima personalità, il cui "work in progress" procede spedito e incalzante fino alla sua perfetta definizione, non solo caratteriale.
Probabilmente, o comunque secondo quello che mi viene da pensare da quando c onosco e seguo questo cineasta, il punto debole di Shyamalan è sempre stato quello di concentrarsi a capofitto sulla storia, trascurando un pò gli attori che all'interno cercavano di giostrarvisi (in "E venne il giorno" l'atmosfera da incubo o giorno del giudizio risulta perfetta, ma la resa del cast è davvero al di sotto della media, quasi socncertante e pur in presenza di attori altrove sin eccellenti): i film precedenti, anche i più riusciti (io sceglierei The Village, ma pure quel Signs che in molto hanno detestato) tendono a mortificare un pò, anziché valorizzare, le prove attoriali singole a vantaggio della vicenda e dell'intrigo di base, spesso preponderante, se non prepotente e prevaricatore su tutto il resto.
Qui, probabilmente non tanto grazie al regista, che pur gli offre una ghiotta opportunità moltiplicata per 24, ma grazie soprattutto al talento espressivo e multisfaccettato del grande James McAvoy, la costruzione e la rappresentazione della follia trovano nel brillante attore trentottenne scozzese, il suo più naturale, ma anche sconcertante, e per questo straordinario, strumento di rappresentazione. Notevole pure la mutazione fisica che, pur coadiuvata da effetti e trucchi scenici, caratterizza le molteplici rappresentazioni da parte del brillante interprete, delle differenti personalità che abitano dapprima la sua testa, e piano piano pure il suo corpo, adattato ed adattabile.
La sua è una interpretazione in crescendo, che non ci fa per nulla guardare con nostalgia il pur grande John Litgow depalmiano di Raising Cain o lo sdoppiamento da incubo dei gemelli di Cronemberg nel suo insuperato Inseparabili.
Nei panni della dottoressa che ha in cura il problematico paziente multipersonale, ritroviamo un'attrice cara al regista indiano come Betty Buckley, che qualcuno ricorderà soprattutto come conteso "oggetto" conteso assieme ad una valigetta, e dunque perno della adrenalinica vicenda nell'indimenticabile Frantic di Polanski.
Delle tre vittime designate, ed in parte premeditate, è naturale ed evidente che la preferita e l'oggetto del desiderio, oltre che dell'attenzione del cineasta, risieda tutta a favore di Casey (la interpreta la giovane Anya Taylor-Joy, un viso controverso che alterna dolcezza a dolore con un minimo movimento espressivo) la "ragazza strana", l'asociale della classe, colei che è stata invitata alla festa di compleanno solo per questioni di coscienza e di buona condotta morale.
Il regista ha tempo di organizzarsi e di spiegarci la natura del disagio che frena la comunicatività della ragazza e la rende particolarmente asociale ed avversa alle congregazioni e alle manifestazioni di gruppo: circostanza che contribuisce già dall'inizio a rendercela particolarmente interessante e a predisporci nei suoi confronti in modo più attento, comprendendo che è lei il fulcro della vicenda, e probabilmente anche la soluzione.
Attenti al prologo dopo il gran finale perché il regista, fuori tempo massimo, ci regala una sorpresa che, in modo un pò ingarbugliato, ma anche affascinante, ci rivela associazioni e "liaisons dangereuses" ed affascinanti con cui ci vengono spiegate connessioni o legami nei confronti di situazioni o storie note di un passato ormai non più prossimo, ma ancora piuttosto vive nella nostra memoria.
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