Regia di Walter Hill vedi scheda film
La palude silenziosa è un universo alieno e ostile, un mondo a parte dove oltre alle insidie naturali bisogna guardarsi da bestie molto pericolose, animali selvaggi a due “zampe” che parlano un francese primitivo e imbracciano fucili, sono cacciatori di frodo ma per alcuni di loro c’è poca differenza tra uno scoiattolo e un uomo.
Per una volta l’adattamento del titolo italiano si può dire più azzeccato ed evocativo dell’originale (Southern Comfort), un evento quasi da festeggiare considerando gli scempi in traduzione che da sempre ci tocca vedere, certo ripropone ancora una volta la parola guerrieri e con i film di Walter Hill era già successo pochi anni prima con il cult immortale I Guerrieri della notte (The Warriors), ma alla fine poco male visto che le due pellicole hanno narrativamente più di un punto in comune, stavolta infatti ad essere braccati non sono i componenti di una gang newyorchese ma dei meno incisivi e cattivi riservisti della Louisiana.
Siamo nel 1973 e un gruppo di uomini della Guardia Nazionale si prepara per quella che dovrebbe essere un’esercitazione di routine, la compagnia Bravo guidata dal sergente Poole (Peter Coyote) dovrà addentrarsi nei meandri di una poco ospitale palude, chilometri e chilometri di acquitrini, alberi secolari e fango, la missione prevede di raggiungere un determinato punto di raduno ma lungo il percorso è forte il rischio di fare brutti incontri.
Cosa che puntualmente accade quando i nostri decidono di prendere “in prestito” le canoe di alcuni cacciatori di frodo Cajun, i locali scoperto lo scherzo non la prendono bene ma si arrabbiano sul serio quando uno dei soldati, per scherzo, gli scarica addosso un intero caricatore del suo fucile mitragliatore; è un gioco, i proiettili sono a salve, ma i bracconieri non lo sanno e rispondono al fuoco centrando in pieno uno dei riservisti.
Da quel momento in poi l’esercitazione si trasformerà in una vera e propria lotta per la sopravvivenza, con i riservisti in fuga su un territorio accidentato e dispersivo, braccati come topi da un nemico invisibile che non si fa nessuno scrupolo ad uccidere.
Walter Hill mette in scena l’ennesimo action/drama di grande qualità, un film che consolida il suo stile e la sua poetica omaggiando allo stesso tempo il cinema dei registi a lui più vicini, sono evidenti infatti i richiami a Peckimpah e Aldrich, due vecchi outsider del cinema americano, un cinema che racconta di uomini in lotta per la sopravvivenza, mai domi nonostante le circostanze avverse e un destino che sembra segnato.
Ma non tutti gli uomini sono uguali e il variegato campionario di personalità che compone la compagnia sta li a dimostrarlo, fanatici militari, reazionari fascisti, codardi imboscati, stupidi inetti, il plot scritto a sei mani (oltre a Hill lo firmano Michael Kane e David Giler) si concentra su queste diverse personalità e le racconta con impietosa efficacia.
Non è un caso che nel momento di maggior difficoltà a prendere le redini del gruppo siano Hardin (Powers Boothe) un enigmatico ma cazzuto texano e Spencer (Keith Carradine) sudista vecchio stampo ma con la testa sulle spalle, i veri guerrieri della palude sono loro, che decidono di lottare fino alla fine, contro la natura che li circonda e non gli lascia via d’uscita e contro i Cajun che li vogliono morti.
Hill fotografa con rigorosa crudezza il conflitto eterno fra una civiltà inadeguata e una natura sempre dominante, come dominanti sono i Cajun che da sempre abitano quelle terre ostili, impermeabili a qualsiasi forma di integrazione, liberi di cacciare e di festeggiare nelle loro baracche, suonando ballate vecchie come il tempo.
I guerrieri della palude silenziosa è un survival/action che parte lento ma che lentamente alimenta una tensione crescente, che esploderà poi in un finale al cardiopalma, finale che rientra a pieno diritto fra le migliori sequenze mai firmate dal regista americano, il villaggio Cajun, i superstiti della compagnia Bravo, le danze, i maiali uccisi e squartati, la musica, gli sguardi di paura, il sangue che scorre e a chiudere lo scontro finale, violento e decisivo, mortale.
Il contesto naturale farà da sfondo a tutto questo, a volte neutrale a volte complice di un avventura umana che ci riporta ad un altro classico mai dimenticato del cinema americano, quel Deliverance (Un tranquillo week-end di paura) che per forza di cosa deve essere citato come primaria fonte di ispirazione.
Immancabile e fondamentale il contributo alle musiche del solito Ry Cooder, ancora una volta centrata e di grande appeal la sua musica di accompagnamento, flauti e malinconiche note di chitarra elettrica per raccontare un viaggio nell' umana follia.
Voto: 8
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