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Sami Blood

Regia di Amanda Kernell vedi scheda film

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La recensione su Sami Blood

di Peppe Comune
8 stelle

Christina (Maj-Doris Rimpi) è una donna anziana che torna dopo tantissimi anni nella sua terra d’origine per assistere al funerale della sorella Njenna (Mia Erica Sparrow). Rimasta sola in albergo e rifiutatasi di avere rapporti conviviali con gli altri congiunti, Christina ritorna con la mente ai ricordi di tanti anni prima. Quando era Elle Marjia (Lene Cecilia Sparrow), una ragazza di quattordici anni appartenente alla comunità Sami, un popolo di “nativi” che ancora oggi vive in Lapponia, nell’ estremo nord della Svezia, dedito prevalentemente all’agricoltura e all’allevamento di renne. Siamo negli anni trenta ed Ella Marja vive sulla sua pelle tutto il peso della discriminazione razziale cui è fatto oggetto la sua comunità, il fatto di dover vivere in un territorio sempre più ristretto perché compresso dalle necessità espansive degli svedesi, di essere le cavie designate di una forzata opera di “svedizzazione”, di essere considerati etnicamente inferiori sulla base di sedicenti ricerche “scientifiche”, di frequentare dei collegi per soli Sami dove si pratica un’educazione scolastica conforme alle loro presunte limitate capacità intellettive e dove  non possono parlare nella loro lingua madre. Ella Marja vuole andare a studiare a Uppsala, sogna solo una vita normale e di non sentirsi ogni volta una “diversa”. Per fare questo può solo recidere ogni legame con la propria famiglia e con la cultura del suo popolo. Deve diventare un’altra e non voltarsi mai indietro.

 

Lene Cecilia Sparrok

Sami Blood (2016): Lene Cecilia Sparrok

    

“Sami Blood” della regista di origini Sami (da parte di padre) Amanda Kernell è un film che ci porta all’interno della comunità Sami, ma non per raccontarci una storia d'impronta etnografica, ma per farci assaggiare il sapore crudele delle scelte. Un film ambientato in terra di Lapponia, dove però le renne non evocano reminiscenze "babbonatalizie", ma rappresentano l'unico mezzo di sussistenza per un popolo etichettato come geneticamente inferiore.  

Durante la visione di un film, qualche volta mi viene di fare il giochino di chiedermi come sarebbe stato trattato se a indirizzarlo ci fossero state unicamente le regole “non scritte” del mainstream. Le regole del mercato, quando si impongono sopra ogni altro aspetto, chiedono di ammorbidire ogni spigolosità narrativa e di condire il tutto con la presenza di almeno un “eroe” positivo, una buona dose di buoni sentimenti e finale consolatorio. Si cerca unicamente l’adesione del pubblico e per questo i caratteri convenzionali diventano predominanti. Detto ciò, è bene comunque sottolineare che il Cinema è sempre una questione di come vengono usati ed equilibrati gli ingredienti rispetto alle finalità narrative che si vogliono ottenere e che, proprio in ragione di questo, diversi grandi film rimangono tali anche all’interno delle regole date del mainstream.

Rimanendo all’interno di questa sorta di giochino mentale che la natura di film come “Sami Blood” mi inducono avvolte a fare, dalle parti di Hollywood si sarebbe (ipoteticamente) puntato di più sui contrasti familiari e con l’ambiente in cui vive piuttosto che concentrarsi unicamente sulle scelte drastiche prese da Elle Marja ; si sarebbe investito di più sulla ragazza della comunità Sami che cerca di riscattare la cultura del suo popolo rispetto alla tracotanza degli svedesi piuttosto che consegnarci la Christine che semplicemente rinnega tutto e tutti per ambientarsi più in fretta e meglio nella nuova vita cittadina. Tutto questo per rimarcare il fatto che esiste un Cinema che percorre strade diverse da quelle tracciate da un più sicuro ritorno commerciale.

“Sami Blood” è (infatti) caratterizzato da uno stile asciutto e diretto, antispettacolare e antiretorico, teso a marcare in maniera nitida ogni scelta di valore fatta da Ella Marja. Amanda Kernell disinnesca sul nascere il palesarsi dei buoni sentimenti, preoccupandosi unicamente di metterli in relazione alle asperità della vita, alle ingiustizie che si è costretti a subire e alle decisioni che si è indotti a dover prendere. La ragazza presenta tutti gli ingredienti per farsi detestare. L’abiura pressoché totale delle sue origini e il livore che trasmette contro la sua cultura d’appartenenza, bastano da sole per farcela definire come persona non grata. Ma è impossibile non cercare di capire il suo punto di vista, di cercare di comprendere le esigenze di una ragazza che ha come unico desiderio quello di essere trattata come ogni sua coetanea, di non sentirsi diversa senza mai capire per quale motivo.

Ma contro chi e cosa avrebbe dovuto ribellarsi se l’inferiorità etnica della sua razza è stata certificata da sedicenti ricerche scientifiche ? Come e con chi combattere se la cultura del suo popolo è stata ridotta a merce spendibile al mercato del folclore ?  Alle condizioni imposte dai più forti, ciò che gli rimane da fare è dimostrare a sé stessa di non essere affatto inferiore ai suoi coetanei svedesi, di meritare le loro stesse opportunità di studio. La sua è una ribellione disordinata contro chi vuole ridurla ad essere una specie di animale da circo. Senza la forza necessaria per ergersi a difesa della propria etnia, e con la debolezza tipica di chi è indirizzato verso la strada più semplice dell’omologazione. Per una sfida molto personale che se vuole avere una possibilità di vittoria deve passare per la perdita della propria identità e il distacco dagli affetti filiali. Il film si adagia su questa evenienza necessaria, facendo del prezzo che Ella Marjia si è resa disposta a pagare per realizzarsi come donna la condanna più acuta e decisa che può essere inflitta ad una società razzista. Christina non ha mai dimenticata Ella Marjia, ha solo dovuto rimuovere tutto ciò che ha sempre rappresentato per praticare giorno per giorno la sua particolare idea di riscatto. Il finale ce la consegna affranta dal dolore per la perdita della sorella. Che per lei aveva continuato ad accudire il gregge di renne avuto, come da tradizione, in eredità dalla famiglia.

Attraverso la storia particolare di una ragazza si è fatta luce su una più generale storia di segregazione razziale. Una storia che non conoscevo e che credo moltissimi altri ignorano totalmente. Anche questa è la potenza del Cinema. Buon film che consiglio vivamente.             

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