Regia di Ulrich Seidl vedi scheda film
Il più iconoclasta dei registi di oggi, l'austriaco Ulrich Seidl, continua la sua spietata analisi della società austriaca che è solo lo spunto per una riflessione molto più ampia. In "Safari" non sposta di una virgola il suo Cinema, netto, didascalico, apparentemente freddo, e dopo il capolavoro della trilogia del Paradiso, fra il 2012 e il 2013, e il sezionare le perversioni negli scantinati austriaci di "Im Keller", 2014, ci porta in Africa, in una riserva di un non specificato paese africano, tenuta da una coppia austriaca, che accoglie connazionali alla ricerca di emozioni forti date dalla caccia agli animali della savana. Un gioco orribile e coloniale, che il regista ci mostra in tutta la sua aberrazione, senza usare una sola parola di commento, lasciando che siano soltanto le immagini, le inquadrature fisse e le parole del proprietario e dei cacciatori, a formare il nostro pensiero a riguardo. "Safari" è un film a tratti insostenibile, con le sue immagini di "abbattimenti" (non uccisioni, perché, a detta di questi assassini, loro non uccidono ma abbattono, che è sottilmente diverso) e macellazioni, con questi personaggi dall'etica malata, che si commuovono per un colpo ben riuscito, si baciano e si abbracciano davanti al cadavere agonizzante di una giraffa, che si fotografano con il trofeo, spargendo, qui e là, le loro verità filosofiche. Sullo sfondo lo sfruttamento del tutto colonialista e razzista della manovalanza locale, costretta a vivere in baracche rispetto alla tenuta sontuosa del proprietario. Un film, come sempre, necessario, un regista, come sempre, unico e indiscutibile, ma un film decisamente forte, difficile e non per tutti. Seidl ha coraggio e visione, ed è lontanissimo dalle stupidità cinematografiche odierne. Ogni santa volta, mette una parola definitiva sulla deriva dell'umanità. Ogni santa volta, ci fa molto male.
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