Regia di Jan P. Matuszynski vedi scheda film
ARTEKINO FESTIVAL BY MYMOVIES
La vita di famiglia, più che l’opera, dell’artista polacco Zdzis?aw Beksinski ((Sanok, 24/02/29 – Varsavia 22/02/2005): l’ultima famiglia, proprio come annuncia il titolo, dato che l’artista assiste poco per volta al costante disfacimento del proprio nucleo.
Un uomo dal fare cordiale, questo Beksinski, che coltiva con controllata serenità i suoi desideri sessuali proibiti e senili, senza per questo tenerseli segreti, ma anzi condividendoli in modo disincantato, quasi infantile, davanti a chi lo intervista curioso.
Un uomo a cui non mancano fobie, paure incontrollate e crisi di panico, che tuttavia l’uomo, a differenza del figlio, sa gestire alla perfezione, trattenendole dentro di sé e probabilmente trasferendole su tela, nelle inquietanti composizioni che rappresentano l’arte del complesso pittore/grafico.
Ma The last family lascia in sottofondo l’opera dell’artista, per dedicarsi alla famiglia, che diviene la vera protagonista del film, ed in cui il pittore si inserisce come elemento determinante, ma anche come uno tra il gruppo.
In un caseggiato grigio che ricorda i complessi edili popolari-formicaio de Il Decalogo, assistiamo al riassetto, in pieni anni ’80, del nucleo familiare dell’artista: due nonne anziane da curare, che si preoccupano di chi prima occuperà la nuova tomba di famiglia; un figlio mentalmente instabile, Tomasz, insicuro, schizofrenico, che tuttavia, o forse proprio per questo, riesce ad inserirsi nella società come speaker radiofonico e doppiatore (anzi commentatore, come è deleteria prassi nei paesi dell’Est trattare i film in lingua straniera) di film.
Una moglie-chioccia, Zofia, di principi cattolici e vero fulcro irresistibilmente concentrato a non disgregare quel piccolo nucleo disomogeneo e poco coordinato che fa di tutto per sparpagliarsi e perdersi per sempre.
Dietro la regia già matura del giovane Jan P. Matuszynski, classe 1984, forte di una formazione “scolare” presso la scuola del grande Wayda, qui al suo debutto nel lungometraggio, The last family celebra con una certa ironia (quella sognante, ma non priva di visioni “allegramente agghiaccianti” del capofamiglia, tradotte o ricondotte nelle proprie celebri ed inquietanti composite tele), ma anche con una tecnica solida ed affilata, che trova il suo culmine nel tragico sanguinoso e stilisticamente magnifico finale, l’inevitabile disfacimento di un gruppo che non ha più nulla, o non ha mai realmente avuto nulla di genuino da condividere assieme, se non la necessità di rifugiarsi l’uno attorno agli altri come un gregge che si accalca istintivamente in cerca di una protezione che poi in realtà rifugge gettandosi dalla rupe in un salto nel vuoto.
Ottimi soprattutto i due interpreti protagonisti, l’Andrej Seweryn molto somigliante anche fisicamente all’artista e notissimo attore polacco, già interprete di autori come Wayda e Zulawski, ed il nevrotico e lagnoso Dawid Ogrodnik, davvero bravo a renderci fastidioso ed insopportabile lo scomodo, immaturo e viziato figlio della coppia, Tomasz: una persona che si porta dentro tutte le insicurezze e le fobie del celebre genitore, ma che a differenza del primo non è in grado di gestirle, di conviverci in modo distaccato, probabilmente trasferendo l’incubo nell’opera d’arte al pari dell’illustre, ironico e genitore.
Beksinski - videocamera spesso in spalla a ritrarre i momenti di caotica ordinarietà familiare affinché tutto non vada perso per sempre ed irrimediabilmente - al pari di un vero comandante, è l’ultimo ad abbandonare la nave-famiglia che sta progressivamente ed inesorabilmente affondando: la sua dipartita sarà assurda e crudele, improvvisa e feroce, in linea con lo scenario apocalittico/efferato di molte tele che hanno reso celebre l’opera dell’artista.
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