Regia di Tonino Ricci vedi scheda film
Rilettura sgangherata e caciarona della leggenda di Robin Hood, l’arciere che rubava ai ricchi per dare ai poveri.
Se nel 1976 il cinema di genere italiano cominciava a mostrare i primi segni di cedimento, la fantasia degli sceneggiatori (e il coraggio dei produttori, soprattutto quelli piccoli) non era però esaurita affatto e una pellicola come questa lo testimonia in maniera inequivocabile. Certamente Storia di arcieri pugni e occhi neri non è un capolavoro e, anche nella sua nicchia di riferimento, non fa un figurone; ma è comunque un film a suo modo caleidoscopico e rocambolesco, tutto costruito attorno a due elementi che quantomeno tengono lontana la noia: il ritmo e le trovate a effetto. Già il fatto che Robin Hood si accompagni, oltre che a Fra’ Tuck, a un orientale esperto di arti marziali, la dice lunga sulle intenzioni goliardiche del team di scrittura (composto, per inciso, dal regista Tonino Ricci, accreditato sui titoli di testa con il suo vero nome e cioè Teodoro; da Victor A. Catena, da Jaime Comas e dal protagonista Sergio Ciani, che invece fra gli interpreti compare con lo pseudonimo Alan Steel); in sostanza il lavoro sembra un mix frullato di generi popolari all’epoca in voga, fra cappa & spada, film in costume, spaghetti western e persino un tocco di decamerotico, il tutto tenuto insieme da un collante abilmente mutuato dalle coeve pellicole con Bud Spencer e Terence Hill: le scazzottate, come d’altronde il titolo promette. Sconclusionato e povero di mezzi, ma sicuramente non di idee, Storia di arcieri pugni e occhi neri fa il paio, nella filmografia di Ricci, con il precedente Storia di karatè, pugni e fagioli (1973), con il quale condivide solamente l’atmosfera grottesca e l’assonanza dei titoli. Oltre a Ciani/Steel compaiono qui Chris Huerta, Francesca Romana Coluzzi, Iwao Toshioka, Ria De Simone, Eduardo Fajardo, Pino Ferrara e, chicca finale, una giovanissima Victoria Abril, cosa che in fin dei conti sorprende poco data la coproduzione italo-spagnola dell’opera. 3,5/10.
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