Regia di Nischal Basnet vedi scheda film
La campagna nepalese. Un sogno rivoluzionario. Il destino che, nella favola, è sempre un dettaglio stonato.
La rivoluzione. Può essere anche un sogno alla portata di tutti, compresi gli ultimi, i dimenticati, i più infelici. Nelle vene di Tulke scorre sangue reale. Appartiene ad una stirpe di principi, della cui nobiltà si è però persa la memoria. Ed adesso lui è un qualunque ragazzotto di campagna, a cui piace bere e menare le mani, e che sbarca il lunario lavorando a giornata, al soldo dei signori locali. Si direbbe una figura d’altri tempi, il personaggio di una favola che colloca le utopie lontano dal presente, in un glorioso passato o in un magnifico futuro difficile da immaginare. Intorno a lui ci sono la povertà, la filosofia di vita della gente semplice, l’amore costretto a sottomettersi alla volgarità, oppure a tentare di difendersi come può, facendo goffamente a pugni con un nemico potente e onnipresente. Ci sono tutte le premesse per una ribellione, per la ricerca di un mondo diverso, in cui ogni persona è importante e può aspirare a diventare un eroe. Talak Jung è l’alter ego di Tulké: il suo nome, scritto per esteso, come si deve ad un uomo di alto rango, è la sua identità sepolta che vorrebbe ritornare alla luce, per dare forma ad un individuo completo, dotato di un ruolo, di un valore, di una prospettiva. Tuttavia, nel villaggio non c’è il posto necessario a farlo emergere. La rinascita ha bisogno di spazio, quello che solo una grande città può offrire. La fuga a Katmandu, conseguente ad una devastante umiliazione subita per opera dei suoi compaesani, è per Tulke la svolta indispensabile a iniziare una nuova ricerca di sé: ci sono, da qualche parte, dentro di lui, una forza ed un coraggio che possono forse essere utilizzati meglio che facendo a botte con gli amici. Il gioco prosegue alzando la posta e aumentando il rischio, ed allargando, contemporaneamente, l’orizzonte della sfida. L’adesione ad una banda dedita a piccoli furti e all’estorsione determina l’ingresso di Tulke nel grande agone in cui si disputano le partite scatenate dalle disuguaglianze sociali. Il giovane senza arte né parte scopre la possibilità di assumere una posizione combattiva, rispondendo alle ingiustizie subite con altrettanta arroganza. Questo film, classificato come drammatico, conserva in realtà la sua serietà nel vano di scorta, tirandola fuori solo ogni tanto, e davvero a malincuore. Il racconto ha in corpo l’anima scanzonata e leggera della commedia, e finché gli eventi lo consentono, non lascia trapelare più di tanto lo spessore della questione. Tale incongruenza grava non poco sulla narrazione, che fatica a darsi un tono univoco e convincente. Apprezziamo comunque la sua volontà di eludere lo sconfinamento nella saga romantica, nell’epica tragica in cui il sangue versato lava i torti di tutti, lasciando che la guerra gridi al cielo la propria mortifera inutilità. Fino all’ultimo resiste il suo gusto di tergiversare, zigzagando fra leggerezza e impegno, confondendo le idee, e creando, a modo suo, una forma spiazzante di tensione. Benché il finale arrivi come una tempesta, che cancella ogni incertezza con un violento schiaffo di disincanto, permane l’impronta lasciata da un cammino tortuoso, ma intriso di infantile, umile speranza nel miracolo che salva e pareggia i conti.
Questo film ha rappresentato il Nepal agli Academy Awards 2016.
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